Natale, tempo di "ritiro di comunità educativa" nella nostra scuola (cattolica).
Non sono cattolica ma mi piace lavorare coi cattolici per una serie di buoni motivi di cui magari parlerò più avanti.
Quest'anno è venuto a proporre un intervento niente meno che il vescovo.
Discorso "alto", da facoltà di teologia, non privo di spunti profondi e toccanti.
Tutto il discorso era imperniato sul ruolo della "parola di Dio" per la comunità educativa, cosa molto importante per i cristiani che, nelle parole del vescovo riprese da quelle di Gesù, "vivono di parola di Dio".
[non entro ora nella discussione dell'errore di fondo nell'interpretazione ecclesiastica di questo sacro concetto e conseguenti notevoli ricadute pratiche... dico solo... om!]
Il discorso proseguiva essenzialmente sul fatto che gli educatori devono rendersi portatori della parola di Dio, essere educatori su quella base.
Nel dibattito a fine discorso qualcuno aveva portato la difficoltà a mettere in pratica la Parola, sia nel senso del saper agire "sul momento" in un'infinità di casi specifici traducendo il generale nel particolare, sia nel senso di riuscire ad essere all'altezza di quanto dice il Vangelo.
Altri avevano condiviso di essere stati stimolati una volta di più a riflettere sul fatto che "non si insegna ciò che si sa, ma ciò che si è". Grande verità.
Non sono intervenuta, ma avrei voluto dire che la risposta a chi aveva condiviso la propria difficoltà poteva venire proprio collegandosi a chi aveva evidenziato che non si insegna ciò che si sa ma ciò che si è.
Pensare di applicare istantaneamente dal generale al particolare ed in modo perfetto ciò che dicono i Vangeli nelle centinaia di occasioni di una giornata, magari in una scuola con ragazzi difficili, non credo sia cosa da potersi chiedere ad un essere umano. Crea solo sensi di colpa inutili, come se i poveri cattolici non ne avessero già abbastanza.
Quello che secondo me ha senso fare per essere educatori, e persone in generale, "portatori della parola di Dio" è esserne informati - non nel senso di esserne a conoscenza, ma nel senso etimologico di in-formare, cioè farla entrare nella nostra forma, farci forgiare da essa.
Ma non si deve intendere solo come ascolto, per quanto col cuore, del Vangelo, che pure va bene, ma come accoglienza della Parola, del Verbo (vibrazione cosmica, OM) dentro di noi tramite la meditazione. Sì ok anche la preghiera e la lettura delle scritture fa questo ma va così piano!!
Se si cambia la nostra struttura vibrazionale facendosi in-formare dal Verbo, allora saremo persone diverse, ci comporteremo e parleremo in modo diverso, trasmetteremo ed insegneremo cose diverse. Senza alambiccarsi il cervello e patire stress infami cercando di arrivare con la mente umana al di là di se stessa.
Come diceva Einstein, "nessun problema può essere risolto usando lo stesso livello di coscienza che lo ha creato". Motivo per cui bisogna meditare :-)
Parlando ancora del fatto che non tutto si può o si deve capire con la mente umana perchè ciò che la trascende è infinitamente di più di ciò che essa può comprendere...
Non ricordo come il vescovo sia arrivato a questa citazione - non come l'ho poi collegata io - ma l'ho trovata meravigliosa. Non avrei scritto tutto l'articolo, che in fondo sono quattro ovvietà (chiedo scusa), se non avessi avuto la citazione da attaccare alla fine.
Citazione di san Giovanni Maria Vianney, aka il curato d'Ars, patrono dei sacerdoti.
GMV parlava del sacerdote, ma estendo il concetto a tutti.
"se si potesse comprendere il mistero [della creazione] si morrebbe... non di spavento, ma d'amore"
E' talmente bella che ve la lascio così, da assaporare, da meditare, senza aggiungere commenti....
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