Essa incide sulle bollette per una percentuale che oscilla, a seconda del Piano d’Ambito e del Piano degli Investimenti in esso contenuto, fra il 10% e il 25%, variando da un anno all’altro.
Il referendum è stato proposto per far valere un principio chiaro: nella gestione dell’acqua non si devono fare profitti. E la risposta dei cittadini (95,8% a favore della cancellazione del profitto) non può lasciare alcun dubbio sull’opinione, praticamente unanime, del popolo italiano.L’effetto di quel voto è scritto molto chiaramente nella sentenza di ammissibilità del 2° quesito referendario (26/2011), nella quale La Corte costituzionale afferma che “la normativa residua è immediatamente applicabile” e “non presenta elementi di contraddittorietà“.
Con la pubblicazione, in data 20 luglio 2011, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 116 è stata sancita ufficialmente e formalmente l’abrogazione, con effetto dal 21 luglio 2011, della norma che consentiva ai gestori di caricare nelle bollette anche la componente della “remunerazione del capitale investito”.
Oggi, a distanza di alcuni mesi tutti i gestori del servizio idrico italiano hanno ignorato con pretestuose argomentazioni l’esito referendario.
Per questo motivo è nata la campagna di “obbedienza civile”.
La campagna di “obbedienza civile” è semplice; essa consiste nel pagare le bollette relative ai periodi successivi al 21 luglio 2011 applicando una riduzione pari alla componente di costo della “remunerazione del capitale investito”.
La campagna è stata chiamata di “obbedienza civile” perché in realtà non si tratta di “disobbedire” ad una legge ingiusta, ma più semplicemente di avere comportamenti del tutto conformi alle vigenti leggi, così come modificate dagli esiti referendari.
Lo scopo principale della campagna di “obbedienza civile” è quello di ottenere l’applicazione di quello che è inequivocabilmente scaturito dai referendum, con il voto di 27 milioni di italiani: fuori il profitto dall’acqua.