Si può insegnare la pace?

Creato il 28 maggio 2012 da Lundici @lundici_it
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E’ possibile insegnare la  pace? Sì, è possibile. A patto che nella scuola prendano vita – oltre l’istruzione – i valori di nome cooperazione, impegno, solidarietà.

Parliamo di un sistema formativo pubblico spoglio di ogni carattere predicatorio e manipolatorio. Consapevole che i valori etico-sociali non vanno trasmessi catechisticamente, ma costruiti e vissuti storicamente e collettivamente. Solo così l’istruzione eviterà ogni forma di scolarizzazione dell’anima.

Per questo, ci sembra utile proporre una triplice riflessione pedagogica sui recenti teatri di guerra del Pianeta.

Riflessione 1.

La rivolgiamo ai conflitti sanguinosi e senza tramonto in terre lontane. Hanno devastato mondi di cultura (islamica, mussulmana, greco-ortodossa et al) per lo più sconosciuti ai giovani, anche perché oscurati – sempre – dai Programmi ministeriali. Sono guerre che hanno investito il Villaggio globale: sia sul piano politico (per il ruolo di crociato assunto dall’ONU), sia sul piano dell’informazione (i bollettini televisivi hanno risuonato in ogni angolo del Pianeta). Per di più, l’ostinata tendenza monoculturale della scuola (celebra le conoscenze dell’orto-di-casa) ha privato i nostri giovani delle chiavi interpretative di civiltà coinvolte nelle ultime tragedie belliche.

Riflessione 2.

L’informazione sul perché sono esplosi e tuttora sono in vita questi conflitti è gestita da commentatori televisivi che bombardano notizie telematiche no/stop. Qui sta il problema pedagogico. E’ vero che il linguaggio dell’immagine corrisponde alla tipica mentalità giovanile: al suo bisogno di concretezza visiva, al carattere sintetico della sua intelligenza, al bisogno vitale di una forte eccitazione emotiva. Ma è altrettanto vero che questo codice di  informazione accusa un rovescio della medaglia. La televisione rende spettatori passivi bambini e adolescenti addomesticabili a contatto con le idee che transitano nel suo specchio infedele. Una sorta di dittatura  semiologica dove le nuove generazioni rischiano di non sapere più allacciare i fili di una gigantesca babele cognitiva. Incapaci, quindi, di cogliere i “nessi” che legano insieme i tanti anelli sparsi delle informazioni.

Riflessione 3.

La rivolgiamo alla percezione che i giovani hanno di conflitti bellici lontani veicolati da immagini che assumono denotazioni fantastiche, mitiche e ipnotiche. Questa, la possibile deriva. Viene nascosto – non si racconta – il volto crudele e tragico della guerra: dove scarseggia tutto (cibo, acqua, medicinali) ma non gli occhi sbarrati di bambini e di anziani.

Pur al cospetto di scenari agghiaccianti, noi pensiamo che questa galleria di maschere tragiche non vada occultata alle giovani generazioni.

Se vogliamo che – crescendo – diventino Profeti di pace.


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