PER ME L'HUMOUR ha una sola frontiera: l'humour. Significa che si può ridere di tutto purché ci sia l'humour. Se manca l'humour, allora non si può ridere di niente. L'humour costringe a riflettere, soprattutto quando viene utilizzato sui drammi umani. Il celebre sketch di Charlie Chaplin sull'operaio alla catena di montaggio in Tempi Moderni fa riflettere sulla schiavitù della classe operaia molto più di 10.000 geremiadi sindacali. In un paese libero non esistono tabù, non esiste la correttezza politica. Si ride di tutto, in particolare del sacro. Il sacro esiste apposta per essere dissacrato. E' questa la libertà.
L'UMORISTA Nicolas Canteloup rivisita ogni giorno con impertinenza l'attualità su TF1. Poiché sa imitare perfettamente le voci, si è specializzato nel doppiaggio di filmati. Prende i filmati di personaggi famosi, in particolare politici, e fa dire alle sue vittime quello che vuole. Non si salva nessuno: Hollande, Taubira, Ayrault, il papa, Gesù, tutti si sono presi la loro dose di scherno. In Revue de Presque, un programma su Europe1, dopo uno sketch dedicato al genocidio rwandese, l'umorista ha ricevuto una censura da parte del Conseil Répresentatif des Associations Noires (CRAN), che esige le sue scuse. Canteloup rifiuta di scusarsi, dicendo che, se dovesse scusarsi per ogni sketch, passerebbe la vita a profondersi in scuse.
DOVREBBE SCUSARSI se non avesse fatto ridere, ma secondo me il suo sketch è spiritoso. Eccolo qui. Imitando Julien Courbet, l'animatore di Ça peut vous arriver, Nicolas Canteloup si rivolge a un certo signor Hutu in «conflitto di vicinato» con il signor Tutsi. «Lei ha macellato, machetato e carpacciato la famiglia del signor Tutsi che non aveva mai espresso un simile desiderio. Come se non bastasse, gli ha tagliato le braccia sopra i gomiti, al punto che adesso ha un'enorme difficoltà a scriverle. A questo, con le sgradevoli conseguenze che si possono immaginare, bisogna aggiungere la perdita di un orologio di famiglia e l'impossibilità di fare l'autostop.»
LA CRAN ha subito reagito, definendo lo sketck «ignobile» e meravigliandosi che non abbia suscitato reazioni nello studio. «Quando si tratta di neri, sembra che ci si possa permettere tutto», ha inveito il suo presidente Louis-Georges Tin. «Ma è ora che questa storia finisca. Questo sedicente humour maschera una forma estrema di disprezzo e di abiezione. Davanti ai crimini contro l'umanità, Shoah, Rwanda e schiavitù, non si ride, si resta in silenzio.»
CHI LO HA DETTO? Gli ebrei, maestri di umorismo, sono i primi a ridere della Shoah, basta vedere le vignette su Haaretz. Quanto a noi Rwandesi, categoria alla quale mi onoro di appartenere, siamo pronti ad accettare una buona battuta sul genocidio purché sia spiritosa. Qualcuno dirà: «Allora perché te la prendi con Dieudonné, che pure fa dello spirito sulla Shoah?» Semplicissimo, perché lo spirito di Dieudonné non è spiritoso. Passi per la Shoananas che almeno è un gioco di parole, ma dire «quando penso a Israele, penso che Hitler... insomma, ci siamo capiti... non finisco altrimenti mi censurano» non è humour ma pura incitazione al massacro.
I DETRATTORI DI CANTELOUP gli danno del codardo, dicendo che se la prende con Gesù ma lascia in pace Maometto. Io lo capisco. Chi ha voglia di rischiare la pelle per uno sketch? Sappiamo bene come ogni critica all'islam provochi sommosse planetarie. I cristiani incassano, non per scelta ma perché noi laici gli abbiamo legato le mani. Il tempo dei roghi è finito. Anche gli islamici vanno scherniti ma prima bisogna metterli nell'impossibilità di nuocere. Ecco perché dobbiamo legare le mani anche a loro. Un paese dove non si può ridere degli islamici non è veramente libero.
Dragor