di Maria Serra
Dietro l’estradizione del soldato azero ci sarebbe il sospetto di un possibile scambio di favori politici: secondo alcuni giornali finanziari ungheresi, e come riportato anche dalla BBC, dopo una lunga serie di colloqui tra Aliyev e Orban, il governo di Baku avrebbe promesso l’acquisto di titoli sovrani ungheresi per un ammontare di 3 miliardi di euro, dimezzando così il debito di Budapest, il quale in questa fase di recessione economica si trova ancora in trattative non solo con Europa e Fondo Monetario Internazionale, ma anche con Cina, Arabia Saudita e, appunto, Azerbaijan. A rafforzare i dubbi sullo scambio di favori sarebbe anche la decisione magiara di far passare la pipeline Nabucco attraverso il proprio territorio dopo che la compagnia petrolifera azera Socar aveva dichiarato la propria partecipazione al medesimo progetto per il trasporto di gas dai giacimenti di Shah Deniz verso l’Europa.
L’atteggiamento di Baku ha scosso non poco l’opinione pubblica: oltre al Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, il quale ha accusato l’Azerbaijan di minare i tentativi di risolvere pacificamente la questione del Nagorno Karabakh, per la quale le uniche strade da seguire sono quelle del dialogo e della cooperazione, anche il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz si è detto preoccupato dalla decisione del governo azero di concedere la grazia, commentando come “la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate (adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983) – che il Vice Ministro azero Vilayat Zahirov aveva dichiarato di rispettare con riferimento soprattutto all’art.9 [1] – non dovrebbe essere sfruttata per fini politici”. Così anche il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton e il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, Štefan Füle, hanno dichiarato di essere molto preoccupati per l’accaduto e di non voler perdere di vista la situazione nel Caucaso Meridionale (per il quale dall’agosto del 2011 è stato istituito un Rappresentante Speciale, Philippe Lefort), anche alla luce del fatto che entrambi i Paesi costituiscono un elemento chiave per il successo del Partenariato Orientale dell’UE lanciato nel 2009 (si tenga presente, infatti, che dallo scorso febbraio sono iniziati con l’Armenia i negoziati per la realizzazione di un’area di libero scambio al fine di svilupparne la crescita e gli investimenti). Nonostante ciò, alcune ONG, tra cui Eufoa (European Friends of Armenia) hanno dichiarato che le forze politiche europee non stanno dando la giusta importanza alla situazione, minimizzando in particolar modo la condizione degli Armeni, le cui ferite si riaprono ogni qualvolta atti di questo tipo non vengono puniti. La mancanza di una decisa presa di posizione in merito da parte dell’UE, infine, sarebbe dovuta alle necessità di sicurezza degli approvvigionamenti energetici dal momento che l’Azerbaijan costituisce un attore essenziale per lo sviluppo del cosiddetto “Corridoio Sud”.
Stati Uniti e Russia dal canto loro intendono continuare a monitorare la situazione, nel tentativo di proteggere le relazioni economiche e gli interessi strategici nell’area. In questo contesto non si deve dimenticare il ruolo delle potenze regionali, Turchia ed Iran, le quali sono sensibili tanto alla possibilità di continuare ad esercitare la propria influenza in quest’area nevralgica tanto all’approvvigionamento energetico.
Proprio l’esportazione di petrolio e gas di cui l’Azerbaijan è ricco, è moneta di scambio per l’acquisto da parte di Baku di grossi quantitativi di armi dai players regionali, ad iniziare da Russia (dalla quale dipende il 55% delle importazioni militari), Turchia e, ultimamente Israele, con cui il Paese caucasico nel marzo 2012 ha firmato un accordo militare dal valore di 1,6 miliardi di dollari che prevede l’acquisto di missili anticarro Spike, mortai 120 mm Cardom, una dozzina di droni e missili terra-aria, nonché il sistema di difesa Barak-8. A queste vanno aggiunte la importazioni che provengono da Pakistan, Sudafrica e, in maniera saltuaria, da Germania, Repubblica Ceca e Polonia, nonostante l’embargo istituito dall’OSCE nel 1992 che dovrebbe impedire la vendita di armi a soggetti direttamente coinvolti nel conflitto del Nagorno Karabakh. Se dunque l’Armenia può altrettanto contare su un consistente supporto militare russo (circa il 96% delle importazioni di armi) grazie anche all’intesa del 2010 che prevede un rafforzamento delle presenza militare di Mosca nel Paese (più precisamente nella base di Gyumri, lungo il confine con la Turchia), l’Azerbaijan potrà nei prossimi anni usufruire di un equipaggiamento militare “di tutto rispetto” che a Baku farebbe comodo sia per parare i contrasti con la vicina Armenia, sia per proteggere i propri confini con l’Iran: infatti, nonostante dal maggio 2011 l’Azerbaijan sia diventato a pieno titolo membro del Movimento dei Paesi non Allineati, negli ultimi mesi i rapporti con Teheran si sono notevolmente raffreddati a causa non solo dell’appoggio che Baku avrebbe fornito a Tel Aviv per condurre azioni di intelligence nel territorio iraniano (come ad esempio l’assassinio di alcuni esperti nucleari iraniani), ma a causa anche degli accordi energetici che la Repubblica Islamica ha concluso con l’Armenia. Nello scorso mese di aprile, di fatti, si sono svolte esercitazioni militari azere nel Caspio – il cui status giuridico resta ancora problematico – con lo scopo di simulare la protezione degli impianti e delle infrastrutture petrolifere. La corsa al riarmo azero, secondo alcuni analisti, sarebbe spiegata dalla riduzione nei prossimi anni di potere contrattuale a livello internazionale da parte di Baku a causa del raggiungimento tra il 2012 e il 2014 del cosiddetto “oil peak”, che renderebbe necessario accelerare il conflitto con l’Armenia per mantenere le attuali performances economiche.
Malgrado ciò, il caso Safarov potrebbe aver creato anche una buona occasione per il riconoscimento dell’indipendenza del Nagorno Karabakh: il Parlamento armeno ha presentato lo scorso 3 settembre un disegno di legge in merito, sebbene non sia stata ancora stabilita una data per il voto. Per vedere qualcosa di più concreto in questo senso, tuttavia, si dovranno aspettare presumibilmente le elezioni presidenziali che si svolgeranno nel febbraio 2013. Un’occasione, dunque, che non dovrebbe essere persa, anche perché la grazia concessa a Safarov potrebbe costituire un pericolo precedente e destabilizzare ulteriormente una regione chiave per gli equilibri tra Occidente ed Oriente.
* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1] L’articolo in questione statuisce che: “Le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono: continuare l’esecuzione della condanna immediatamente o sulla base di una decisione giudiziaria o amministrativa, alle condizioni previste dall’articolo 10; o convertire, per mezzo di una procedura giudiziaria o amministrativa, la condanna in una decisione di detto Stato, sostituendo in tal modo la pena inflitta nello Stato di condanna con una sanzione prevista dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso reato, alle condizioni previste all’articolo 11. Lo Stato di esecuzione deve, se richiesto, indicare allo Stato di condanna, prima del trasferimento della persona condannata, quale delle procedure intende seguire. L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l’unico competente a prendere ogni decisione al riguardo”. Resta tuttavia vero che l’art.12 prevede che “Ciascuna Parte può accordare la grazia, l’amnistia o la commutazione della condanna conformemente alla propria Costituzione o ad altre leggi”.