Siamo nella merda, usciamoci con tagli di tasse netti ed investimenti in opere al sud

Creato il 29 febbraio 2016 da Blogaccio @blogaccioBlog

Siamo nella merda fino al collo, ci aspettano tre o quattro anni difficili, peggio di quelli vissuti nel 2008 quando comunque esportavano ai Brics che oggi invece sono caduti in crisi profonda; a chi vendiamo? Non è un gufo, a lanciare l’allarme è stato Oscar Farinetti, il patron di Eataly, tra gli imprenditori uno degli ottimisti per carattere e sicuramente un renziano di ferro. Non propriamente un tirapiedi del Governo anzi, dei leopoldini Farinetti è tra quelli che hanno saputo trarre maggiore profitto basti pensare ad Expo dove ha scelto, coordinato ed organizzato gli espositori delle ventuno Regioni italiane. Farinetti comunque non addita Renzi tra le cause della crisi, accusa invece internet, la più straordinaria delle invenzioni che però distrugge posti di lavoro. Per la verità ne crea anche aprendo nuovi mercati, ma a Farinetti i conti pare che non tornino. Da non credere, con un solo colpo ha messo a tappeto l’intero immaginario renziano che poggia su due colonne fondamentali: le ICT e l’ottimismo della volontà ad oltranza. Il piatto di Eataly siamo sicuri sarà andato di rancido a palazzo Chigi anche se al momento non si registrano reazioni. Una sgradita sorpresa. Che cosa cerca che ancora non ha avuto Farinetti? Sussurrano i maligni. Renzi vuole vincere le elezioni e dopo i bonus si è determinato a tagliare le tasse con o senza l’assenso dell’Europa anzi, i sondaggi gli dicono che sparando contro Bruxelles si potrà appuntare la medaglia della procedura di infrazione nelle urne quando la Commissione avvierà la procedura per deficit eccessivo, debito fuori controllo e sofferenze bancarie. Corre voce che le agenzie di rating abbiano annusato il sangue e si siano portate avanti nel lavoro sporco come nel 2011 stavolta però, con le elezioni alle porte rischierebbero un moto di reazione al contrario e finirebbero per fare il gioco del ganassa che riuscirebbe a tenersi in sella denunciando in anticipo i nemici esterni a differenza di quanto accadde al Berlusca. Puzza di bruciato s’avverte già dai rapporti della Commissione che riportano dell’Italia una condizione economica e finanziaria peggiore di quella che è nella realtà. Corretti nella forma, questi rapporti tradiscono una metodologia di procedimenti errata nell’analisi come quella di emarginare il nostro paese in una sorta di periferia economica quando invece sappiamo che la Francia procede in deficit elevato a sostegno del suo statalismo e la stessa Germania ha impedito alla BCE di mettere becco nei bilanci delle sue banche locali condizionate dalla politica e gonfie di titoli spazzatura non ancora rivalutati al ribasso mentre le banche italiane hanno messo a bilancio i crediti deteriorati con tagli del 50%. Una fitta rete di trame tessute dunque dagli organismi internazionali, rendono legittimo il sospetto che si voglia mettere sotto tutela e condizionare le scelte dell’Italia. Quando mancano ancora due anni alla fine della legislatura, se non si vuole procedere a vista e far ripartire investimenti, crescita ed occupazione, per prima cosa bisogna mettere in sicurezza le banche suggerisce Giavazzi. Si è diffusa nei mercati  una strana voce che vorrebbe il nostro sistema bancario a corto di liquidità. Naturalmente non risponde a vero questa convinzione che però si nutre della penuria di investimenti. C’è una sola banca tra le grandi in difficoltà si sofferma Giavazzi ed è MPS. Per salvarla occorrono dieci miliardi. Lo Stato non può più intervenire, i privati non investono ed allora bisogna che ad acquistarla sia la Cassa Depositi e Prestiti considerata privata mentre in sostanza è l’unico strumento operativo del Tesoro in grado di agire sui mercati. Per farlo, la CDP deve vendere una delle sue partecipazioni in Eni, Snam, Therna, Fincantieri. Poi, una volta risanata, potrebbe uscire da MPS rivendendola. Dopo le banche, bisogna passare alle tasse riprende Giavazzi, con un taglio netto non compensato da nuove spese cominciando col chiudere le ottomila partecipate improduttive e tagliando le spese per l’Università che garantisce servizi indiscrminatamente sottocosto per tutti. Infine conclude, per uscire dal pantano non dobbiamo rinunciare ad investire ad esempio nel sud. Con i tassi che si mantengono bassi,  si può pensare al rilancio del mezzogiorno non solamente finanziando l’agricoltura ed il turismo, ma compiendo quelle opere infrastrutturali delle quali comunque ha urgente bisogno.


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