Sono fermamente convinto che un leader politico o un capo di Stato non abbiano diritto a privatezza e riservatezza alcuna. Stesso dicasi per un campione dello sport, il cui ingaggio annuale è pari al Pil di un qualsiasi stato africano. Nell’accettare il grande onore e l’enorme potere che derivano dalle loro posizioni, non appartengono più a se stessi ma alla comunità che rappresentano, che devono rappresentare, giorno e notte ogni secondo della loro vita – almeno finché sono a disposizione del pubblico. È un grande sacrificio e un peso che può risultare insostenibile per i meno forti, ma i meno forti non sono adatti alla gestione dei grandi poteri. Il fatto che la sede del loro potere debba essere di vetro, che possano essere ascoltati, osservati, controllati, che debbano rispondere di ciò che fanno, dicono, e sono, non è una deviazione dal naturale rapporto tra rappresentati e rappresentanti, ma la normalità necessaria al permanere del rapporto di totale fiducia e appartenenza che è indispensabile a una cessione consensuale del potere. Questa roba non me la sono inventata io, ma la consuetudine plurimillenaria ovunque e in ogni civiltà e cultura si stabiliscano rapporti impari tra sudditi, cittadini, fedeli e una o più persone che rappresentino un potere.
La storia universale ci insegna questo. Per quanto riguarda la storia dell’Italia contemporanea è probabile che regole e consuetudini si obnubilino in una mirabolante eccezione. Chissà. Ma di certo sbagliava Berlusconi a pretendere massima privatezza nella propria vita personale e politica e insindacabilità della stessa. Come penso che sbagli la Cancellieri e Vieri e tutti quelli che si trincerano dietro ad una privacy che fa comodo solo quando ha una accezione a loro favorevole. Questo di norma, salvo moderne eccezioni...