Avrei voluto come altri scrivere molto e a lungo su questo blog di quello che è accaduto nella mia città, Brescia, in questi sedici giorni. Avrei voluto postare continuamente le novità che raccoglievo, le voci che sentivo, gli umori che percepivo, i volti che incrociavo. Avrei voluto sfruttare questo blog per dare la possibilità a chi era lontano di sentirsi più vicino alla prostesa, o semplicemente informato sulla vicenda. Eppure solo ora riesco a scrivere, ora che gli ultimi quattro immigrati sono scesi. Non ho mai scritto perché ho sempre avuto, in questi giorni, una sorte di timore e di rispetto. Un silenzio impaurito, preoccupato, angosciato per quello che sarebbe potuto accadere. L’unica cosa che riuscivo a fare era andare in piazza, al presidio, guardare con il naso all’insù quella gru così alta, a cui, fino a sedici giorni fa, quasi mai avevo prestato attenzione. Sotto quella gru, con il naso rivolto al cielo, a salutare i ragazzi in cima, a tremare quando si sporgevano sul braccio per ricambiare il saluto, a cantare: siamo tutti sulla gru. Non ne ho parlato fino ad ora, ma adesso è il momento, e forse è troppo tardi, perché senza i ragazzi sulla gru i riflettori dei media si spegneranno, ma il problema di fondo resterà immutato. L’aspetto più intimo è il grande rispetto e la massima solidarietà per i ragazzi che sono saliti a 30 metri di altezza e per due settimane hanno affrontato il freddo, la pioggia, il gelo, lo sconforto, la fame. Sono persone che hanno dimostrato quanto la dignità umana possa spingere lontano, o meglio, in alto. Hanno dimostrato quanto disperata fosse la loro condizione, quanta rabbia e senso di giustizia covassero nei loro cuori. A Brescia, si dice, le cose accadano un po’ prima che a livello nazionale. Brescia è una città poco conosciuta, poco seguita, eppure spesso qui i campanelli d’allarme suonano prima. Questo è stato un campanello d’allarme. La legge Bossi-Fini, la sanatoria, la prostesta, la gestione dell’ordine pubblico, le cariche, i rastrellamenti, le dichiarazioni sono tutti strumenti di un orchestra che ha suonato l’ouverture di quella che rischia di essere la futura società italiana dei prossimi anni. Non possiamo andare avanti ancora a lungo. Le belle parole di Bersani e Fini, giusto questa sera, che esigono la cittadinanza italiana per i figli di immigrati nati sul suolo italiano, sarà legge vana e vuota, se non si inizia finalmente a lavorare e a risolvere il problema che abbiamo oggi. E il problema è tutto nelle dichiarazioni rilasciate ad Annozero da quella donna fantastica che ha in poche parole impartito una lezione esemplare e altissima di civiltà e democrazia. Pochi giorni prima e pochi giorni dopo abbiamo avuto i rastrellamenti e le cariche del caricate per favore!. Abbiamo avuto le ruspe ad affossare presidi permanenti, camionette e transenne a bloccare il traffico e isolare una zona della città. Ma quelle parole sono state il nostro canto. Quelle parole, e altre: siamo tutti sulla gru, basta “frigare“, no al razzismo no alla violenza. Una sanatoria per colf e badanti è un insulto alla decenza umana. Quale che sia la legge in vigore, se porta a questo, è una legge sbagliata. Concedere, come se dovesse essere una concessione, il permesso di soggiorno a colf e badanti e non anche agli altri lavoratori è aberrante. E prima ancora: legare la possibilità di un permesso di soggiorno all’essere occupati è semplicemente illogico. Dimostra, con un semplice vigliacco gesto, l’intolleranza, la volgare stupidità, il razzismo, la concezione di una razza superiore che può disporre a suo piacimento delle razze altrui. Le colf e le badanti in regola per accudire i genitori e parenti, nelle ricche case; accompagnare i malati ai giardini pubblici, lavarli e pulirli, imboccarli e curarli. Colf e badanti come maggiordomi di una nobiltà vigliacca e opportunista. Gli altri lavoratori, invece, in fabbrica e mantenuti nell’irregolarità e nalla clandestinità per essere trattati come schiavi, senza diritti e dignità. Tutto questo non può andare avanti ancora a lungo. Perché il lavoro non c’è più, la povertà dilaga, le tensioni sociali crescono. I ragazzi sulla gru ci hanno lanciato un grido di allarme, che riguardava loro stessi personalmente, ma che non dobbiamo commettere l’errore di circoscrivere a solo questo caso isolato. Spero la loro situazione possa migliorare e si possa definitivamente trovare una soluzione e mi auguro che quella gru, e quei ragazzi, siano il simbolo di una presa di coscienza del grave rischio che stiamo correndo. Ma c’è la crisi di governo, e non saranno più i 4 ragazzi ad attirare l’attenzione, ma la soglia del 4 per cento. E ce ne siamo già dimenticati di loro. E ci stiamo dimenticando già di noi.