Darling Farm, Bourke, NSW, 8 dic 2012, ore 13:14
“L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!”
Totò, Siamo Uomini o Caporali, 1955
Uomini o caporali? Bè certamente io, qui, sono un uomo. Uno dei più abietti, mi sento di aggiungere. Da qualche giorno le cose non vanno per il meglio. C’è un caporale che mi perseguita. Il suo nome è Sal, o qualcosa del genere. Sal è un coreano che per ragioni a me ignote ha raggiunto un gradino più alto degli altri. Il suo compito è quello di seguire chi raccoglie ed assicurarsi che non vengano lasciati sul campo meloni maturi. Ce ne sono altri come lui, sul campo, ma lui ha una caratteristica tutta particolare: ce l’ha con me. Non ho idea del motivo, non so cosa gli ho fatto, tanto più che non ci siamo quasi mai nemmeno parlati, però mi odia. Il suo divertimento maggiore è riprendermi per qualunque cosa. Hai lasciato un melone! Stai più vicino al nastro! Più in fretta! Così tutto il giorno. Ora, già questo è un lavoro che a mio parere dovrebbe essere proibito dalla Commissione per i diritti umani, se poi si aggiunge anche il fattore Sal, allora diventa un campo di concentramento. Dall’esterno è difficile rendersi conto di cosa significhi esattamente. Il punto è che tutti i raccoglitori lasciano indietro dei meloni. Non è una scienza esatta. A volte il melone è ancora verde, oppure fatica a staccarsi dalla pianta. Capita anche che semplicemente non lo si scorga tra il fogliame. Dopo tre o quattro ore chini a guardare in terra, un po’ si perde lucidità. Questo per dire che ad essere pignoli tutti sarebbero possibili oggetti di rimprovero. Perché solo a me? La cosa che veramente mi fa ribollire il sangue è che Sal a volte mi dice di guardare come si fa e poi si mette a raccogliere al posto mio. La cosa divertente è che lui lascia indietro un sacco di meloni, quanto me o più, e quando io li raccolgo e glielo faccio notare, lui non ci bada. Si limita a cedermi di nuovo il posto e a torturarmi per le ore successive. Ieri la cosa ha raggiunto un livello superiore. Ieri ha fatto rapporto a Pete. Pete è quindi venuto da me, mi ha preso da parte e mi ha detto che c’era stata una lamentela nei miei confronti e che questa cosa non poteva andare bene. E’ stata una brutta cosa per me. Non sapevo cosa dire. Ero stupefatto e arrabbiato. Sconfitto. Potevo spiegargli? Potevo fargli capire che non era vero? Che la qualità del mio lavoro non differiva da quella degli altri? Se sì, come? Pete ed Andrew, il capo, stanno sui campi non più di quindici minuti al giorno. Arrivano, fanno un po’ i boss e poi se ne vanno. Va detto che i coreani sono tosti. Loro sono macchine. Letteralmente macchine. Non si fermano mai, non sono mai stanchi, non parlano. Sono scimmie che si lanciano a terra appena vedono un melone che sembra maturo. Non ho mai visto una cosa del genere in vita mia. Ero preoccupato. C’era il rischio di perdere il posto ed io non potevo permettermelo. Sylvie lavora alla fabbrica di impacchettamento e per lei è una gran fortuna. Non potevo perdere il lavoro. Ne ho parlato con Judy. La mattina, quando mi viene a prendere, abbiamo sempre un po’ di tempo prima di arrivare ai campi, quindi oggi le ho chiesto come stavano le cose. Lei mi ha detto tre cose: che Sal è lì solo perché sta simpatico ad Andrew, che Pete si è messo in testa di diventare “The man” ma in realtà spesso non sa di cosa sta parlando e che io non ho nulla da temere. E’ stato come quando nei cartoni animati arriva la fata buona e la sua aura si spande per lo schermo della tv. Un’aura di giustizia, bontà, umanità. Judy è un capo ma non è un caporale. Fino ad ora ha dimostrato di possedere tutte le doti del vero leader. Non si arrabbia se non è necessario, chiede sempre di fare le cose e non sbraita ordini, lavora con noi ma soprattutto, cosa per me fondamentale, è equa. Un peso, una misura. Le sue parole e la sua presenza, per me, sono come una grande iniezione di serenità. E’ un lavoro disumano, ma con lei al mio fianco è almeno possibile.
Probabilmente se si andasse a frugare in qualche soffitta americana, si troverebbero decine di diari di immigrati come me fitti di parole simili alle mie. L’immigrato è sempre l’ultima ruota del carro. Io, poi, sono l’ultima ruota tra le ultime ruote. Non sono né australiano né coreano. Sono in clamorosa minoranza e questo fattore è un ulteriore problema. Però non ho mai fatto nulla di male. Ho sempre cercato di dare il massimo, di fare il mio lavoro e di arrivare a fine giornata. Un giorno dopo l’altro. Sono sicuro di non meritare un trattamento del genere. Per me i rapporti umani sono sempre stati fondamentali. Non importa quale sia il lavoro e quanto duro si presenti: se c’è umanità si può fare tutto. Senza non si va da nessuna parte. Totò ha scritto quelle parole nel 1955 e il mondo non è cambiato granché, almeno tra le fila degli immigrati. C’è sempre chi calpesta i sottoposti senza ragione o per proprio piacere personale. Come dice Totò, almeno, per fortuna i caporali sono la minoranza.
Qui Bourke, non troppo bene, ma si va avanti.