Le banche centrali di tutto il mondo hanno risposto alla montagna di debito (il più delle volte di dubbia esigibilità, solo per usare un eufemismo) aumentando a dismisura la liquidità presente sul mercato, rendendola praticamente illimitata e a buon mercato. Le banche commerciali si finanziano presso le banche centrali a tassi prossimi allo zero. Questa enorme liquidità è stata riversata sui mercati finanziari: sulle obbligazioni, sui titoli di stato e sulle azione, facendone aumentare i prezzi e creando una delle bolle più grandi che la storia ricordi. Quella del mercato obbligazionario, a mio avviso, ne costituisce esempio tangibile. I rendimenti delle obbligazioni, oltre ad incorporare le aspettative di inflazione, dovrebbero esprimere il grado di solvibilità di un paese o, più in generale, del soggetto emittente. Quelle dello stato italiano, solo per fare un esempio, offrono rendimenti prossimi allo zero sulla parte più breve della curva; mentre il rendimento del decennale è di appena l'1,8%. A questi rendimenti si devono togliere anche le tasse, l'imposta di bollo e le commissioni bancarie, o di gestione nel caso di fondi comuni. Lo scenario peggiora se si estende lo sguardo ad altri paesi. La Germania, ad esempio, offre rendimenti negativi sui titoli di stato fino a 5 anni; mentre il decennale rende appena lo 0,6%. Il fenomeno non riguarda solo i paesi più solidi, ma che altri stati come Spagna e Irlanda: paesi che hanno ottenuto "aiuti" finanziari dai vari fondi salva stati. Per non parlare della Svizzera che offre rendimenti negativi fino a 15 anni. Lo scenario non cambia di molto se si guarda agli USA o al Giappone. Dieci giorni fa, BofA Merryll Lynch ha diffuso uno studio in cui si sostiene che, nel contesto europeo, ci sono oltre 1200 miliardi di obbligazioni sovrane che hanno rendimenti negativi. Un mese fa era sta Invesco ad affermare che circa il 60% delle dei titoli del tesoro a livello globale rendono meno dell'1%. Nel frattempo il quadro è peggiorato per via delle attese riposte nell'imminente QE che BCE, con ogni probabilità, annuncerà oggi. Le banche centrali, abbassando artificialmente il costo del finanziamento del debito, concedono ai governi la possibilità di ridurre i costi di finanziamento e rallentare così la crescita dei debiti pubblici. Come spiega Pimco in un rapporto, possiamo considerare la repressione finanziaria come una forma di insolvenza occulta, un modo "educato" di congelare i debiti, mentre si pagano interessi e capitale. Per usare altre parole, le banche centrali assicurano ai rispettivi governi la possibilità di assumere prestiti a tassi reali molto bassi e persino negativi, ma il guadagno dei governi diventa una perdita per i risparmiatori. Ciò significa che, con tassi prossimi allo zero o addirittura negativi, i prezzi delle attività non aumentano più per effetto della diminuzione dei tassi (o lo fanno marginalmente) e diventa sempre più difficile ottenere ritorni positivi al netto dell'inflazione. Oltre al danno per i risparmiatori sotto forma di bassi (o negativi) rendimenti reali ci sono altri costi collegati alla repressione finanziaria, e non sono meno importanti rispetto a quelli appena enunciati. Infatti, queste pratiche tendono a promuovere l'allocazione di capitali in nodo inefficiente, generando profonde distorsioni sui mercati e sull'economia: boom dei prezzi della attività non supportati da dati economici o, nel caso delle azioni, da ritorni di utili non sintonia con le attese incorporate nei prezzi; arresto improvviso dell'attività economica per perdita di fiducia e fuga di capitali, che talvolta tendono a spostarsi in modo molto repentino generando crolli dei mercati. Ritornando ai titoli distato, i rendimenti così bassi determinano una cosa molto semplice. Ossia che, nel contesto attuale, se si vuole investire in questo segmento di mercato (magari perché ritenuto apparentemente sicuro) si deve essere disposti ad esporsi ad un rendimento negativo, salvo allungare l'orizzonte temporale dell'investimento cercando di ottenere qualcosa in più, che comunque verrà eroso da tasse, imposte di bollo, spese bancarie o commissioni di gestione nel caso di fondi comuni, restituendo rendimenti prossimi allo zero o addirittura negativi. Inoltre ci si esporrebbe anche ad eventuali perdite in conto capitale nel caso in cui i rendimenti, tra qualche tempo, dovessero aumentare. Chiaramente, si tratta di qualcosa di improponibile. Di conseguenza, i capitali, sempre a caccia di adeguata remunerazione, tenderanno a spostarsi verso attività via via più rischiose (paesi emergenti, obbligazioni high yield, valute ecc. ) aumentandone i prezzi e rendendole sempre meno attraenti in termini di rapporto rischio/rendimento. Nel contesto europee, il vuoto lasciato dai capitali che tenderanno a spostarsi verso mete di maggiore profitto, verosimilmente, verrà compensato dall'interventismo della Bce. Mentre si farà sempre più "intensa" la speculazione sui mercati valutari che tenderanno ad essere "cavalcati" al fine di ottenere rivalutazioni che verranno riflesse sui rendimenti delle attività sottostanti. Giacché i livelli di debito (sia pubblico che privato) resteranno elevati ancora per molto tempo, verosimilmente, i governi avranno bisogno di inflazione per rendere più sostenibili i rispettivi debiti, in modo che il Pil nominale possa avere una maggiore incidenza sul debito, che dovrà essere smaltito (anche) per via inflattiva (salvo ristrutturazioni, nei casi più estremi). In uno scenario del genere, quando l'inflazione tornerà ad aumentare, è probabile che le banche centrali saranno molto più tolleranti rispetto a quanto lo siano state nel passato. Pertanto, salvo evidenti spinte inflazionistiche (che non appaiono all'orizzonte), l'eventuale aumento di tassi avverrà in maniera molto moderata e dilatata nel tempo, proprio per evitare di soffocare l'eventuale crescita e lasciare lavorare l'inflazione che dovrà diluire l'indebitamento. Se le banche centrali non saranno in grado di sostenere i livelli delle quotazioni di molte attività, verosimilmente, si assisterà ad un aumento della volatilità con riduzioni (anche significative) delle quotazioni, in modo da ristabilire la profittabilità di alcuni segmenti di mercato, che verranno così ricomprati a prezzi più bassi rispetto ai valori attuali o futuri. Verosimilmente, ciò avverrà in occasione di notizie non gradite ai mercati (minore crescita economica, utili deludenti ecc ecc. Gli investitori, nell'allocazione dei propri risparmi dovranno considerare questi fattori che si uniscono a tutte le criticità di cui abbiamo discusso QUI (lettura fortemente suggerita). Dovranno, quindi, ponderare bene i fattori di rischio collegati ai singoli paesi e alle varie categorie di investimento.
Le banche centrali di tutto il mondo hanno risposto alla montagna di debito (il più delle volte di dubbia esigibilità, solo per usare un eufemismo) aumentando a dismisura la liquidità presente sul mercato, rendendola praticamente illimitata e a buon mercato. Le banche commerciali si finanziano presso le banche centrali a tassi prossimi allo zero. Questa enorme liquidità è stata riversata sui mercati finanziari: sulle obbligazioni, sui titoli di stato e sulle azione, facendone aumentare i prezzi e creando una delle bolle più grandi che la storia ricordi. Quella del mercato obbligazionario, a mio avviso, ne costituisce esempio tangibile. I rendimenti delle obbligazioni, oltre ad incorporare le aspettative di inflazione, dovrebbero esprimere il grado di solvibilità di un paese o, più in generale, del soggetto emittente. Quelle dello stato italiano, solo per fare un esempio, offrono rendimenti prossimi allo zero sulla parte più breve della curva; mentre il rendimento del decennale è di appena l'1,8%. A questi rendimenti si devono togliere anche le tasse, l'imposta di bollo e le commissioni bancarie, o di gestione nel caso di fondi comuni. Lo scenario peggiora se si estende lo sguardo ad altri paesi. La Germania, ad esempio, offre rendimenti negativi sui titoli di stato fino a 5 anni; mentre il decennale rende appena lo 0,6%. Il fenomeno non riguarda solo i paesi più solidi, ma che altri stati come Spagna e Irlanda: paesi che hanno ottenuto "aiuti" finanziari dai vari fondi salva stati. Per non parlare della Svizzera che offre rendimenti negativi fino a 15 anni. Lo scenario non cambia di molto se si guarda agli USA o al Giappone. Dieci giorni fa, BofA Merryll Lynch ha diffuso uno studio in cui si sostiene che, nel contesto europeo, ci sono oltre 1200 miliardi di obbligazioni sovrane che hanno rendimenti negativi. Un mese fa era sta Invesco ad affermare che circa il 60% delle dei titoli del tesoro a livello globale rendono meno dell'1%. Nel frattempo il quadro è peggiorato per via delle attese riposte nell'imminente QE che BCE, con ogni probabilità, annuncerà oggi. Le banche centrali, abbassando artificialmente il costo del finanziamento del debito, concedono ai governi la possibilità di ridurre i costi di finanziamento e rallentare così la crescita dei debiti pubblici. Come spiega Pimco in un rapporto, possiamo considerare la repressione finanziaria come una forma di insolvenza occulta, un modo "educato" di congelare i debiti, mentre si pagano interessi e capitale. Per usare altre parole, le banche centrali assicurano ai rispettivi governi la possibilità di assumere prestiti a tassi reali molto bassi e persino negativi, ma il guadagno dei governi diventa una perdita per i risparmiatori. Ciò significa che, con tassi prossimi allo zero o addirittura negativi, i prezzi delle attività non aumentano più per effetto della diminuzione dei tassi (o lo fanno marginalmente) e diventa sempre più difficile ottenere ritorni positivi al netto dell'inflazione. Oltre al danno per i risparmiatori sotto forma di bassi (o negativi) rendimenti reali ci sono altri costi collegati alla repressione finanziaria, e non sono meno importanti rispetto a quelli appena enunciati. Infatti, queste pratiche tendono a promuovere l'allocazione di capitali in nodo inefficiente, generando profonde distorsioni sui mercati e sull'economia: boom dei prezzi della attività non supportati da dati economici o, nel caso delle azioni, da ritorni di utili non sintonia con le attese incorporate nei prezzi; arresto improvviso dell'attività economica per perdita di fiducia e fuga di capitali, che talvolta tendono a spostarsi in modo molto repentino generando crolli dei mercati. Ritornando ai titoli distato, i rendimenti così bassi determinano una cosa molto semplice. Ossia che, nel contesto attuale, se si vuole investire in questo segmento di mercato (magari perché ritenuto apparentemente sicuro) si deve essere disposti ad esporsi ad un rendimento negativo, salvo allungare l'orizzonte temporale dell'investimento cercando di ottenere qualcosa in più, che comunque verrà eroso da tasse, imposte di bollo, spese bancarie o commissioni di gestione nel caso di fondi comuni, restituendo rendimenti prossimi allo zero o addirittura negativi. Inoltre ci si esporrebbe anche ad eventuali perdite in conto capitale nel caso in cui i rendimenti, tra qualche tempo, dovessero aumentare. Chiaramente, si tratta di qualcosa di improponibile. Di conseguenza, i capitali, sempre a caccia di adeguata remunerazione, tenderanno a spostarsi verso attività via via più rischiose (paesi emergenti, obbligazioni high yield, valute ecc. ) aumentandone i prezzi e rendendole sempre meno attraenti in termini di rapporto rischio/rendimento. Nel contesto europee, il vuoto lasciato dai capitali che tenderanno a spostarsi verso mete di maggiore profitto, verosimilmente, verrà compensato dall'interventismo della Bce. Mentre si farà sempre più "intensa" la speculazione sui mercati valutari che tenderanno ad essere "cavalcati" al fine di ottenere rivalutazioni che verranno riflesse sui rendimenti delle attività sottostanti. Giacché i livelli di debito (sia pubblico che privato) resteranno elevati ancora per molto tempo, verosimilmente, i governi avranno bisogno di inflazione per rendere più sostenibili i rispettivi debiti, in modo che il Pil nominale possa avere una maggiore incidenza sul debito, che dovrà essere smaltito (anche) per via inflattiva (salvo ristrutturazioni, nei casi più estremi). In uno scenario del genere, quando l'inflazione tornerà ad aumentare, è probabile che le banche centrali saranno molto più tolleranti rispetto a quanto lo siano state nel passato. Pertanto, salvo evidenti spinte inflazionistiche (che non appaiono all'orizzonte), l'eventuale aumento di tassi avverrà in maniera molto moderata e dilatata nel tempo, proprio per evitare di soffocare l'eventuale crescita e lasciare lavorare l'inflazione che dovrà diluire l'indebitamento. Se le banche centrali non saranno in grado di sostenere i livelli delle quotazioni di molte attività, verosimilmente, si assisterà ad un aumento della volatilità con riduzioni (anche significative) delle quotazioni, in modo da ristabilire la profittabilità di alcuni segmenti di mercato, che verranno così ricomprati a prezzi più bassi rispetto ai valori attuali o futuri. Verosimilmente, ciò avverrà in occasione di notizie non gradite ai mercati (minore crescita economica, utili deludenti ecc ecc. Gli investitori, nell'allocazione dei propri risparmi dovranno considerare questi fattori che si uniscono a tutte le criticità di cui abbiamo discusso QUI (lettura fortemente suggerita). Dovranno, quindi, ponderare bene i fattori di rischio collegati ai singoli paesi e alle varie categorie di investimento.
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