Del resto la forte personalità di questa donna, la fa diventare sprezzante contro le leggi e le convenzioni antiquate di un’Italia di fine Ottocento fortemente borghese. Il codice di famiglia del 1865 considerava la moglie ancora come un oggetto del quale il marito poteva disporre; le donne in effetti non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello di essere ammesse ai pubblici uffici, non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro. Questi continui limiti logorano Rina per ben dieci anni, prima di trovare il coraggio di lasciare il marito e di conseguenza abbandonare il figlio. La svolta giunge nel momento in cui ritrova un vecchio diario della madre: anch’essa aveva patito le sue stesse sofferenze, la sua insoddisfazione, ma, rimasta, aveva pagato la sua scelta perdendo pian piano il lume della ragione. L’allusione ad un amante, ma soprattutto la scelta profondamente egoistica di abbandonare il tetto coniugale, fatto di abusi e soprusi, fanno di questo testo un romanzo di rottura. L’Italia cambia, si sta evolvendo, ecco perché l’autobiografia riesce a catturare un pubblico vasto. C’è bisogno di una voce fuori dal coro. Rina sposa a pieno le tematiche socialiste e femministe, infatti, si considera questo romanzo come la prima vera opera femminista. Siamo di fronte alla morte metaforica per la perdita del figlio (affidato al padre) ed alla rinascita di una nuova vita fatta di passioni letterarie ed amorose. Dopo “Una donna”, continua sulla scia del genere autobiografico con “Il passaggio”, scrive poi “Amo dunque sono”, “Il frustino”, “Lettere a Elio” ed alcune raccolte di poesie. Ebbe moltissime relazioni anche a carattere omosessuale, la più nota con la Duse. Sicuramente il suo più grande amore fu però Dino Campana, un rapporto che durò dal 1913 al 1918, e che cessò a causa della pazzia dello scrittore. Intensissime le loro lettere. Scrive così Sibilla a Dino nel 1917: «Dicevi ch’eri tu che mi amavi, Dino? Sono io, sono io che amo te». Fa un certo effetto leggere parole così decise dalla penna di una donna che nel cuore aveva il fallimento brutale di un matrimonio. Dalle pagine del testo colpisce l’attualità di questa opera, che dovrebbe essere un conforto per alcune donne e uno sprone per altre. Fino ad allora mai si erano affrontate tematiche così schiette e concrete, la donna smette i panni di angelo del focolare. Come un’altra sua grande contemporanea, Virginia Woolf, la Aleramo rivendica la parità dei sessi. Se è pur vero che siamo lontani dalle richieste delle suffragette, avendo ottenuto il diritto al voto nel 1946, su molte altre questioni la società non ha la stessa considerazione per entrambi i sessi; di certo, il modo migliore per appianare le distanze, ad esempio in politica, non è rappresentato dalle quote rosa. Ancora a distanza di più di un secolo Rina fa sentire la sua voce.
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