Sicilia in bici: sulle tracce di Montalbano in provincia di Ragusa

Creato il 10 luglio 2014 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Perdersi fra i meandri della Storia, riscoprendo le suggestioni di una natura selvaggia, in una terra incantevole ma poco generosa, la Sicilia, zattera delle genti, è stato questo l’obiettivo dei circa duecento partecipanti al tradizionale cicloraduno nazionale della Federazione Italiana Amici della Bicicletta (Fiab), giunto alla XXVI edizione.

Il percorso si è snoda lungo una delle vie della rete Bicitalia, sulle diramazioni della Ciclopista del Sole, la celebre Eurovelo 7, che si interseca con la ciclovia siculo-maltese Med in Bike scaturita dal progetto di cooperazione transfrontaliera Italia-Malta.

Sferzate di vento agitano il mare diffondendo un acre odore salmastro addolcito dal profumo degli ispidi cactus, accompagnando noi soci Fiab, giunti da tutta Italia per inneggiare alla gioia di pedalare insieme, fondendo bizzarri idiomi e frammenti di – gaudenti o sofferte – cicloesperienze.

Partenza da Marina di Ragusa per raggiungere Punta Secca, divenuta celebre per essere la dimora del mitico commissario Montalbano di Camilleri e sovrastata dall’imponente Faro di Torre Scalambri.

Casette bianche, dinanzi a speroni di roccia contro cui si infrangono le scomposte ondate marine, come un lamento di un’umanità smarrita, tenute a freno dallo sguardo clemente di una madonnina antistante all’angusto porticciolo: il naturale scenario di un luogo che di cinematografico ha solo gli echi di un’antica memoria che la letteratura vuole restituire in maniera  benevolmente artefatta.

Si prosegue per uno sterrato che si allunga fino alla scogliera. Ecco Punta Braccetto, poi una borgata e i ruderi di Torre Vigliena, un avamposto di origine normanna. Arroccati su un delizioso promontorio si notano i resti di Kamarina, fondata agli inizi del VI secolo a.C. dagli antichi Greci dorici siracusani, fu rasa al suolo dal console romano Calatino nel 258 a.C. dopo essere più volte stata distrutta e ricostruita.

Il sole rovente non allenta la spinta sui pedali di noi cicloturisti pronti a sfrecciare verso le tre città barocche di Ragusa Ibla, Modica e Scicli, dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO.

Agglomerati di grigie abitazioni arroccate su cime montuose ci passano davanti mentre ci catapultiamo in sella alle sofisticate bici, giù dai pendii a rottadicollo o allungando la gamba per attenuare la velocità del mezzo, come faceva pavidamente la sottoscritta. Lo sguardo scorre vorticosamente dall’asfalto – ispezionato per dosare l’effetto della curvatura o della prudente decelerazione – a quel cumulo di laterizi con tettucci e finestrelle, minuscole come gli occhi semisocchiusi di un bimbo infastidito dal chiarore di una luce che gli preclude il benefico rifugio della dimensione onirica che lo pervade.

A Ibla una sosta al Duomo di San Giorgio, alla Chiesa di San Giuseppe e al Circolo di conversazione, per poi dirigersi sulla strada che costeggia la valle dell’Irminio. Lo sguardo perplesso dei vecchi seduti dinanzi agli usci di casa o ai bar fanno intuire che siano veramente rare le occasioni di benefiche contaminazioni da parte dei cosiddetti forestieri.

Si suda parecchio per raggiungere Modica, la città natale del Premio Nobel Salvatore Quasimodo, ma ne vale la pena. Da Corso Umberto ci si dirige verso il Palazzo Comunale, la Chiesa di San Pietro e il Duomo di San Giorgio – monumento simbolo del Barocco siciliano – e il quartiere ebreo del Cartellone. Una sensazione di pace mista a estatico stupore per quell’imponenza, scatti fotografici a non finire e una corsa veloce all’Antica Dolceria Bonajuto, la più antica fabbrica del cioccolato modicano.

Da Modica percorrendo in discesa la”strada della fiumara” si arriva a Scicli, in Via Mormino Penna si rimane ad ammirare la ricchezza dei palazzi barocchi che vi si affacciano, come il Palazzo Beneventano e il Palazzo Comunale, location del sopracitato commissario Montalbano. Si saltella a piedi su e giù per scalinatelle, perdendo lo sguardo su inferriate e  raccapriccianti teste di animali in pietra sotto ai balconi, fra strette viuzze laterali che sembrano meandri di un surreale labirinto che avvolge magicamente lo spettatore.

Nei pressi di Santa Croce Camerina una lunga salita, ma non eccessivamente impegnativa, porta al Castello di Donnafugata, una sontuosa dimora nobiliare con una bella facciata ornata da una loggia in stile Gotico veneziano, con 122  stanze. Un’altra location cara al Commissario, avendo essa ospitato la residenza del boss mafioso Balduccio Sinagra.

Barcollando per la fatica e la canicola, ci si fionda sulla due ruote per raggiungere la Riserva Naturale di Randello, lungo il percorso muretti a secco delimitano fazzoletti di terra popolati da molteplici specie arboree, oltre alle onnipresenti carrubbe e agli olivi si stagliano – orgogliosi della propria imponenza – i pini d’Aleppo. Un tuffo nel mare cristallino, con le bici immerse nella sabbia finissima ad attendere il nostro ritorno.

Poi ecco un’altra meta, l’antica Fornace Penna, maestosa testimonianza della vecchia industria siciliana. La fornace si erge a picco sugli scogli alla fine della ciclabile che da Sampieri conduce a Marina di Modica. Siamo nella “Mannara” cinematografica di Montalbano, area selvaggia di pascolo delle greggi smossa dal forte vento di ponente.

Vento che nei primi giorni sembrava perseguitare noi cicloturisti, quasi a volerci punire per la violenta intrusione in quella terra rimasta ferma a ritmi arcaici e poco consoni al turismo modaiolo, ma che poi è divenuto sempre più tenue, come una carezza leggera sulle nostra fronte imperlata di sudore, sugli intensi battiti del nostro cuore, denso di emozioni e di immensa felicità  per quel fantastico viaggio compiuto nella Storia e nella natura incontaminata della Sicilia, estremo avamposto dell’Europa mediterranea.


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