Sicilia: in duecento anni ci sono stati davvero pochi cambiamenti

Creato il 07 ottobre 2013 da Kla

Oggi volevo parlare di un libro che aveva consigliato K. nella rubrica “leggono proprio tutti” , il titolo è “ La lunga vita di Marianna Ucrìa“. Vincitore del premio Campiello nel 1990 prima ancora che io nascessi, un libro che racconta nei particolari pettegolezzi e quotidianità della nobiltà femminile del 700.

Una grande famiglia palermitana la cui storia è scandita dal susseguirsi di matrimoni, parti, visioni di autodafé e di impiccagioni, festini, cene, balli, squartamenti: tenerezze ed eccessi di una società avviata irreversibilmente al tramonto. E Marianna, una bambina destinata, come le sorelle e le cugine, a sposarsi e ad arricchire di nuovi eredi il casato, oppure a entrare in convento per sempre. Ma Marianna è speciale, è sordomuta, e se deve comunicare con il mondo che la circonda e nel quale vuole vivere, può farlo solo scrivendo, riversando nella pagina bianca i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Questo la rende diversa? Forse. Ma la vita, la lunga vita di Marianna Ucrìa, sarà fatta dei gesti, delle gioie, delle fatiche, dei sapori e dei profumi di cui sono ricche le esistenze delle donne. Anche lei conoscerà gli affetti, i dolori, i dubbi di ogni figlia, di ogni madre. E quell’amore che incontrerà dopo anni di solitudine sentimentale, sarà un amore assoluto e sensuale, disperante e disperato, vissuto con la generosità che appartiene alle passioni giovani.

Marianna la preferita del padre, lei che ricorda dei suoni delle parole, ma non riesce a capire se sia un desiderio o se sia veramente accaduto. I genitori tentano in tutti i modi di farla parlare, il padre cerca di aiutarla, le scrive di continuo lettere e le racconta di tutto, la madre più svogliata e dipendente da laudano e tabacco a volte ha accessi di ira che spaventano la bambina e altre volte non si muove per giorni dal letto. A questo punto il padre adotta una soluzione drastica quella di portare la figlia a vedere un’esecuzione capitale, sarà questo evento a condizionare per lungo tempo la vita della figlia, il padre su consiglio medico credeva che la bambina presa da un così grande terrore avrebbe cominciato a parlare nuovamente. I genitori la “cedono”ad uno zio anziano, che alla fine del romanzo rivelerà la sua vera natura, innamorato senza fine della moglie perchè in lei vede un prolungamento dell’amata sorella, la madre di Marianna. Marianna vive all’interno di un mondo suo, fatto di pagine di libri antichi, pergamene su cui dare voce ai propri pensieri e pensieri altrui che si infiltrano nella sua testa e continuamente le parlano. Magari è stata ricompensata da questa straordinaria capacità di essere penetrata dai pensieri delle persone.

Marianna è una figura a volte ambigua vorrebbe far parte anche lei della modernità, ma il luogo in cui vive non glielo permette. imperano Bigottismo e smana di possesso, sete di denaro e desiderio di nulla facenza, i nobili non sanno far di conto, non sanno cosa voglia dire lavorare, essi comandano e tutto è loro dovuto. Non riescono nemmeno ad accorgersi che i loro luogotenenti man mano gli stanno strappando i possedimenti da sotto il naso e che mentre loro lavorano i signori continuano a contrarre debiti e a vendere i propri averi. da contorno alla vicenda ci sono le sorti dei figli e dei fratelli, tutti ugualmente abituati a vivere mollemente e ad avere privilegi per diritto di nascita, infedeltà, invidia e ipocrisia anche essi per nascita appartengono ai nobili. Alla morte del marito-zio dopo molto tempo Marianna cederà alle lusinghe del “Toy-Boy”  del 700, Saruzzo che con i suoi modi ha saputo elevarsi al grado di signore essendo partito da una condizione di nulla tenente, ma questo amore è destinato a essere troncato, perchè sennò si sarebbe consumato da solo.

Per una donna abbandonare il credo Siciliano e convertirsi alla modernità è difficile, ma Marianna ci riesce abbandonando tutti e partendo per un viaggio senza ritorno alla scoperta del mondo di cui ha tanto letto, ma non ha mai potuto vedere.

Le ambientazioni sono meravigliose, forse per il gusto moderno un pò troppo eccessive, le campagne rigogliose, Bagheria è la sede dove Marianna stabilirà la sua dimora trasformando la villa utilizzata nelle vacanze in un’abitazione di cui godere tutto l’anno.

Leggendo il libro con dispiacere mi sono accorta che alcuni atteggiamenti permangono ancora adesso nella moderna società, la sudditanza nei confronti del “padrone” e l’accettazione del carico di lavoro mal volentieri e cercando sempre il modo di rifarsi sugli altri con soprusi, le continue lamentele ma nessuna proposta concreta, i rituali familiari, l’isolamento del diverso e la critica e soprattutto la supremazia maschile che ancora oggi non è del tutto stata superata.

Credo che questo dipenda dalla mentalità che ormai si è radicata, ma spero grazie alle nuove generazioni che tra qualche anno sia ampiamente superata e ritenuta antica.

approfondimento : Bagheria 

Il nome Bagheria, secondo varie fonti, ha origine dal termine fenicio Bayharia “zona che discende verso il mare”.

Nel 1658 Giuseppe Branciforti, conte di Raccuja, in seguito ad una cocente delusione politica per la mancata nomina da parte del governo spagnolo, quale vicerè di Palermo, decide di ritirarsi a Bagheria, dove costruisce Villa Butera che diventerà la sua dimora definitiva. Ha origine così la città di Bagheria che conduce in campagna oltre ad un personaggio così importante anche lo spostamento di una piccola corte che trae sostentamento dalle ricchezze del Branciforti.

Nel 1769 Salvatore Branciforti, principe di Butera, nipote del conte di Raccuja, realizza il primo schema urbanistico di Bagheria. Egli costruì prima un grande edificio addossato al castello medievale; per congiungere il Palazzo Butera con la nuova via Palermo-Messina, fece tracciare poi il grande corso principale denominato “corso Butera”; ortogonalmente a questo tracciò un altro largo corso fino ai “pilastri” che delimitavano i suoi possedimenti. Sistemò infine il centro urbano con l’edificazione della Chiesa Madrice che fa da fondale allo “Stradonello” (l’attuale corso Umberto I).

Successivamente, nel 1797, Ercole Michele Branciforti, figlio di Salvatore Branciforti, fece costruire nella pineta retrostante il castello, l’originale “certosa”, un padiglione neoclassico che raccoglieva un bizzarro d museo del costume con figure in cerai monaci certosini, eseguiti dal Ferretti, alle quali diedero anche volto alcuni celebri personaggi del tempo. Della certosa non esiste più nulla, solo parte delle mura perimetrali tra cipressi ormai polverosi e rinsecchiti.

Dopo la costruzione del castello dei Branciforti, l’espansione urbana e suburbana di Bagheria ebbe un grande sviluppo con l’edificazione di quasi tutte le sontuose ville, i castelli ed i palazzi dei nobili signori della Sicilia. Bagheria diventò così il luogo privilegiato delle villeggiature dell’aristocrazia palermitana.

VIlla Palagonia 

la più famosa fra le ville bagheresi, conosciuta nel mondo anche con l’emblematico nome di “villa dei mostri”, viene edificata a partire dal 1715 da Francesco Ferdinando Gravina e Bonanni, principe di Palagonia, che ne affida i lavori all’architetto domenicano Tommaso Maria Napoli ( al quale più tardi subentrerà Agatino Daidone).
Originariamente si accedeva alla villa da un viale lungo 400 mt, attraversando due archi di trionfo, il primo dei quali, cosiddetto dei “tre portoni”, oggi non è più visibile; l’altro, della “Santissima Trinità” o detto del “Padre Eterno” (dalla statua del Creatore che si trovava all’interno) realizzato interamente in tufo, è stato recentemente restaurato.


A renderla modello estetico unico ed inimitabile, è il nipote del fondatore, Ferdinando Gravina Junior, il cui ingegno stravagante permette di impreziosire la villa con i celebri mostri: centinaia e centinaia di statue in tufo dalle sembianze grottesche, buffe, polimorfe, che venivano collocate lungo il viale cintato e sulle esedre, a sorprendere ed incuriosire i visitatori. La leggenda narra che le mostruose caricature – ritratti, fra gli altri, ospiti, amici e frequentatori del palazzo – fossero ordinate dal principe di Palagonia come nemesi contro il Fato che lo aveva voluto brutto e deforme.


L’attuale ingresso della villa è quello posteriore che, tagliando centralmente l’edificio con un vano carraio, conduce allo straordinario prospetto anteriore ornato dal doppio scalone di marmo billiemi. Il nucleo della residenza, dal caratteristico impianto concavo, prende forma dal vestibolo ellittico che riconduce al piano nobile, dove si trovano gli affreschi di alcune delle dodici fatiche di Ercole e lo stupefacente “salone degli specchi”, dal soffitto rivestito con specchi tagliati a mosaico di diverse angolazioni, pareti addobbate da lussuosi inserti in marmo, vetri dipinti e colorati, busti di antenati e medaglioni della scuola del Gagini.
Dal 1885 la villa è di proprietà della famiglia Castronovo, che attraverso i ricavi della sua Fondazione, rende la villa in parte fruibile ai visitatori ed interviene nelle opere di restauro del palazzo.



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