Con "Gli avvoltoi hanno fame"/"Two mules for sister Sara", (1970), Siegel e
Eastwood offrono il loro omaggio/contributo al sotto genere western-picaresco
che, alternando toni di commedia ad altri più esplicitamente avventurosi,
palesava più di un punto di contatto con la declinazione "spaghetti" che molti
autori, non solo italiani, gli avevano impresso. In origine sceneggiato da Budd
Boetticher - penna nobile di tanti classici western, fiero detrattore della per
lui degenerazione "all'italiana" - passato poi per le mani di Albert Malz che
ne altero' il clima di fondo adeguandolo all'intento scanzonato e pragmatico di
Siegel, il film, ambientato nella seconda meta' del secolo diciannovesimo in
Messico quando i rivoluzionari di Benito Juarez si opponevano al dominio
francese di Napoleone III, vede Hogan/Eastwood, mercenario americano al soldo
dei ribelli impegnato nel progetto di sgominare una roccaforte francese,
salvare dall'aggressione di tre sgherri la suora Sara (Shirley MacLaine), a sua
volta sostenitrice degli insorti e sul libro nero dell'esercito di occupazione.
In breve, seppur conservando finalità diverse, i due prendono a fraternizzare,
fino a non poter sopire l'attrazione reciproca che si concretizzerà al momento
della rivelazione della vera identità di Sara, suora solo per i paramenti, in
realtà scaltra prostituta dedita alla causa rivoluzionaria, e si ribadirà dopo
l'assalto finale alla postazione leale alla corona di Francia, quando, all'alba
di un nuovo giorno, lei (a cavallo del mulo del titolo) e Hogan partiranno
insieme per vivere altre avventure. A dispetto del piglio ironico e dell'aria
tutto sommato lieve che vi si respira, il film ebbe non poche traversie. A
parte quelle di "sostanza" in sede di scrittura, vanno ricordate almeno quelle
inerenti parti delle riprese effettuate con non pochi disagi in zone impervie
nei dintorni di Cuernavaca, nonché i dissapori piuttosto aspri che divisero
Siegel e la MacLaine, al punto da indurre il regista a mollare baracca e
burattini. Anni dopo, lo stesso Siegel non aveva ancora digerito il carattere
coriaceo dell'attrice tanto da dichiarare apertamente la sua ostilità verso un
tipo "poco femminile, tosto, una vera rompiballe". Dal canto suo, Eastwood
mostro' da subito il suo attaccamento a Siegel schierandosi apertamente al suo
fianco: di fatto, questo rimise le cose a posto, almeno nel senso che il film,
bene o male, fu portato a termine. Evidentemente, certe tensioni finirono pure
per giovare all'opera se e' vero che le parti più riuscite e divertenti sono
senza dubbio i frequenti siparietti graffianti che vedono i protagonisti ora
stuzzicarsi, ora blandirsi, mentre gli scontri via via si susseguono e la resa
dei conti si avvicina. Siegel asseconda, anzi, incoraggia la palese alchimia
che lega i due attori catapultandoli in brusche quanto spoglie scene d'azione
(recitate da entrambi senza controfigure) o impegnandoli in secchi dialoghi
botta-e-risposta su una base di veloci piani americani e primi piani. Meno
spiccio e più sornione del solito, il mercenario di Eastwood modifica in parte
la struttura monolitica del pistolero-senza-nome codificato nella trilogia di
Leone e gioca di rimando sul cliché del duro dal cuore tenero. Il personaggio
di Sara, in origine pensato per una bruna mozzafiato e indomabile - forse la
più mozzafiato e indomabile di tutte, a dire Elizabeth Taylor - e' finito sulle
spalle altrettanto robuste e a contatto con una personalità altrettanto
spiccata quale quella di Shirley MacLaine che, facendone una donna testarda,
lingua lunga e amante del whisky, con una sua quasi non curante carica erotica,
una particolare vis polemica, un genuino coraggio in un mondo di uomini
fondamentalmente soli, ha regalato al film il suo asso nella manica.
Sorprendendo un po' tutti (la critica se la cavo' arruolando Siegel nella
schiera dei registi americani dal "gusto europeo"; il pubblico, più
prosaicamente, diserto' le sale, decretando il più grosso fiasco nella carriera
dell'autore), Siegel - con Eastwood ancora protagonista - realizza nel 1971 "La
notte brava del soldato Jonathan"/"Beguiled" (produzione Malpaso), singolare
incursione nel racconto gotico di ambientazione western, misconosciuto
capolavoro pessimista, intriso di misoginia e disperazione. Durante le estreme
fasi della Guerra di Secessione - quelle, in genere, più cruente in ogni
conflitto - nel profondo sud degli Stati Uniti un soldato nordista ferito,
Jonathan Mc Burney/Eastwood viene soccorso dalle donne ospiti di un collegio
femminile (una istitutrice, un'insegnante e tre allieve di età diverse), che
anziché riconsegnarlo come prassi alle milizie sudiste decidono, per
motivazioni diverse, di "prendersene cura". Guarito in fretta, grazie alle
attenzioni assidue prestategli, Mc Burney comincia a fantasticare sulla
possibilità di trarre il massimo vantaggio (soprattutto carnale) dalla
permanenza coatta. Ma e' appunto una fantasia. Ognuna in realtà interessata ad
un rapporto esclusivo, le quattro donne adulte (la quinta e' una bambina di
pochi anni), ad un primo momento di subdola competizione e di personali
illusioni infrante sostituiscono ben presto l'antico e ben collaudato sistema
della fratellanza al femminile che non concederà scampo al soldato opportunista
e gli confezionerà una fine orribile, in linea perfetta col titolo originale
del film ("beguiled" sta infatti per "affascinato" ma pure "ingannato",
"irretito", cioè preso in trappola). Già rileggere la vicenda per sommi capi
aiuta ad evocare echi letterari, luoghi tipici di una tradizione, rimandi
psicologici e dinamiche umane: Henry James ma pure Tennessee Williams e William
Faulkner; il mondo immutabile, ovattato quanto violento e crudele del grande
Sud americano; l'appetito e la repressione sessuale legati a filo doppio
all'istinto di sopraffazione e di morte; una natura incontaminata che tutto
"vede" e tutto tollera ma che sembra sempre sul punto di richiudersi sull'uomo,
sulle sue smanie, sulle sue azioni, per tacitarlo e riportarlo a se'. Ciò che
più di tutto colpisce, pero', e' la maestria e il tocco con cui Siegel - per il
grande pubblico, creatore di macchine filmiche votate all'azione, al
pragmatismo della resa - orchestra partiture interiori complicate; maneggia
silenzi, ossessioni al limite dell'indagine psicoanalitica; indaga, senza pose
da rivoluzionario ma anche senza ritrosie, i lati più torbidi del desiderio,
della frustrazione e della pretesa di possesso. E lo fa da par suo, utilizzando
tutti i linguaggi e gli stereotipi adatti alla bisogna: cambi ripetuti del
punto di vista; dissolvenze incrociate; inquadrature sghembe o eccentriche;
accorti ralenti; false piste; interpolazione dei registri realistico e
fantastico. E anche - coadiuvato dalle scelte cromatiche di Bruce Surtees e
dalle musiche di Lalo Schifrin - icone/feticcio dell'immaginario gotico, della
favola nera, persino dell'universo horror: quindi, specchi e avvolgenti scale
buie illuminate alla sola luce delle candele; figure femminili in ampi abiti
che catturano o restituiscono le sorgenti luminose; viluppi, intrichi vegetali,
i "live oaks", le leggendarie querce del Sud, che proteggono ma pure
"assediano" e isolano il collegio dal mondo. Addirittura, evidenti riferimenti
al rinascimento italiano nelle scene d'impianto onirico/allucinatorio.
Ugualmente inattesa e' la prova di Eastwood, qui in grado di aggiungere toni
maliziosi e sfuggenti alla sua tradizionale maschera di cowboy/poliziotto/eroe
solitario insondabile, di demistificare e quindi capovolgere la sua aura virile
fino al punto di dissacrarla, se e' vero che l'amputazione della gamba
infertagli ad un certo punto dal quintetto muliebre come primo di tanti
"castighi" a riparazione della sua agognata promiscuità, e' fin troppo scoperta
metafora di ben altra mutilazione. Girato tra New Orleans e Baton Rouge,
"Beguiled" si avvale di una precisa ricostruzione delle vicende storiche: si
apre, infatti, su autentiche immagini della Guerra Civile, con Mc
Burney/Eastwood a ruota trasportato all'interno del collegio, e si chiude con
lo stesso protagonista seppellito al di fuori della proprietà, nel silenzio di
una natura rigogliosa e placida, come a sancire la ritrovata sacralità del
luogo depurato della presenza dell'elemento estraneo perturbatore. All'interno
di questo moto circolare che alimenta tutta la pellicola, Siegel opera anche la
sua personale elegia/rifondazione dell'epopea western: gli eroi non ci sono
davvero più. Bene e Male - archetipi tipici anche del western - sfumano uno
nell'altro. Il Caos, inteso come dissidio - e la guerra e' solo uno dei suoi
pressoché infiniti volti - s'impone quasi come logico risultato di sempre
uguali premesse. In ogni caso, il Bene non e' rappresentato dal soldato Mc
Burney, bugiardo (si spaccia, per dire, per mormone), ondivago e profittatore.
Tanto meno e' incarnato dalle donne, con sfumature diverse tutte infelici, rose
al tempo da una gelosia reciproca quanto da una brama di vivere estenuantemente
insoddisfatta, che le trasforma - senza troppi ritegni, a guardar bene, o
traumi - in un perverso clan omicida. Eliminato l'alone del mito, al western
non resta che assumere le meste sembianze di una ripetuta e fredda resa dei
conti, dove onore e lealtà sono parole stranite di una sinistra litania e
nemmeno la presenza femminile e' più in grado di offrire ricompensa o
consolazione.
(di TheFisherKing)