Assuefatti per abitudine all’idea di una ricchezza preannunciata dalla storia, i senesi non hanno compreso, o non vogliono comprendere, le conseguenze di una soffocante crisi economico-sociale. La posta in gioco è ovviamente enorme in una cittadina dove la tradizione è indiscutibile paradigma esistenziale, dove tutti i conflitti si risolvono nel privato delle sedi di contrada o nell’anonimato della calca in Piazza del Campo.
Sul piano della quotidianità, ciò traccia lo scollamento tra chi vive nel feudo e chi respira un’atmosfera di dissociazione: ogni semestre 500 studenti cinesi vengono all’Università per Stranieri per apprendere l’italiano e iscriversi ai principali atenei nazionali, negozi storici in pieno centro chiudono, mentre aprono nuovi locali indiani, messicani e africani. Questo è il rebus sul quale non si vuole puntare lo sguardo: il mondo globale impone la negoziazione di se stessi con l’altro, e spesso un’omologazione ai modelli e alle economie vincenti.
Oggi suona tristemente beffardo notare che per diradare la cortina fumogena dei sospetti e delle critiche, alimentate dalla reazione apatica e ottusa di Siena, si apparecchiano mostre e convegni: la “senesità”, che pure mi sta sommamente a cuore, è sempre più affannata e può evitare la dissoluzione solo al prezzo della diversità.
Iacopo Bernardini
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