Signs (2002)

Da Elgraeco @HellGraeco

La consapevolezza che sono trascorsi ben nove anni, da quando vidi questo film, mi atterrisce. Vuol dire che l’università è finita da un pezzo. E che la ragazza con cui stavo, a quest’ora, magari, avrà messo su famiglia.
Il tempo scorre, e a volte sembra non avere un senso, eccetto forse anni dopo, quando eventi inspiegabili assumono contorni ben definiti, vengono collocati nel giusto contesto per essere, infine, compresi.
Questo, in breve, l’elemento dominante di Signs, film del 2002, di M. Night Shyamalan.
Credo di aver parlato di quasi tutti i suoi film, eccetto Il Sesto Senso.
Mi piace, il regista. Sotto certi aspetti, nel narrare storie condivido molti dei suoi punti di vista. Invidio la sua capacità di dispensare risate e brividi a stretto contatto. E di non farle mai apparire scontate o gratuite, tali scene. Mi piace il modo in cui focalizza la narrazione sui personaggi, esponendo una storia che resta locale anche quando, come in questo caso, riguarda tutto il pianeta. Ma lo spazio è una fattoria col suo campo di granturco, in Pennsylvania.
Magari credete che si tratti di un film low-budget. E invece no. Di soldi ne sono stati investiti molti, in questo progetto. Ben 72.000.000 di dollari. Il ché, a essere onesti, lascia perplesso anche me.

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Il budget milionario, dicevo. Non è che lo consideri sprecato, ma meraviglia dato il tono minimalista dominante. A parte gli effetti speciali nella ricostruzione degli alieni e della loro capacità mimetica, forse l’unica nota importante dal punto di vista delle spese, sono le panoramiche dall’alto. Da elicotteri, probabilmente, o da camere mobili sospese su cavi. Queste ultime sono piuttosto complicate da realizzare.
Mi riferisco a due scene in particolare, piuttosto belle ed efficaci. La primissima, con l’inquadratura che, dall’interno del campo di granturco e dai volti dei personaggi, si allarga fino a mostrare i segni, da almeno una trentina di metri. E poi la ripresa, in perpendicolare, del paese in cui la famigliola va a fare compere, poco prima che si manifesti l’invasione.
Ma basta questo a far costare tanto un film?
A essere onesti, non ne ho idea. Magari la colpa è anche di Mel Gibson e del suo cachet. Anche quest’ultimo ignoro. Ma Mel non è uno che lavora gratis, questo si sa.
Comunque, costa tanto, Signs, ma almeno è curato. E, badate, non ho ancora detto nulla della storia. Mi riferisco all’aspetto tecnico che non delude. È girato con mestiere, c’è poco da fare. Ricco anche delle citazioni, una miriade, che Shyamalan dispensa lungo tutto lo svolgimento.

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Quella sera, al cinema, ero a fianco a un tizio, co-inquilino, col quale avevo litigato la stessa mattina. Finta tregua e poi cinema a vedere Shyamalan, che piaceva a entrambi.
Il merito di questa storia diversa fu quello di farmi sentire bene. Di riappacificarmi.
Magari voi la trovate ridicola e deludente. Perché, di solito, dai cerchi del grano ci si aspettano gli alieni, e da questi ultimi l’iper-tecnologia per farci il culo, a noi terrestri.
Bene, alcune volte, mi piace che questo corrisponda. Altre è infinitamente meglio l’intimismo.
E questo film ne è ricco. Ovvero, è la storia di un’invasione aliena, non incidentale, e allo stesso tempo della catarsi di un nucleo familiare da vecchi rancori e problemi di sorta. La maestria è essere riusciti a tessere un legame inscindibile tra eventi terrestri occorsi anni prima e evento extraterrestre, ossia la presenza dell’altro, l’alieno, nel soggiorno di casa. In modo tale che, solo a quel punto e in quel preciso istante, tutti i fili della narrazione si incontrino per poi sciogliersi.
Se ci togliete l’elemento alieno, questa capacità catartica è, di solito, associata ai grandi narratori.
Qui è ET che disturba i puristi. E davvero non si capisce perché. A meno che non si voglia tirare in ballo il gusto. Relativo e personale. Come sempre.
Ma in questo caso non c’è neanche da discutere, perché non ci si basa su valori oggettivi.

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L’unico personaggio che non gradisco, perché l’attore che lo interpreta fa il gigione una volta di troppo, è Graham Hess, ovvero Mel Gibson. Davvero, davvero troppo sopra le righe. Sta vivendo eventi catastrofici, ma sul suo viso impassibile sono come un fruscio di vento. Non lo toccano più di tanto. Neanche si spettina, tanto è indifferente.
Il fratello Merrill è un ottimo Joaquin Phoenix che dà vita ai momenti più spassosi del film insieme ai due (all’epoca) bambini, Morgan (Rory Culkin) e Bo (Abigail Breslin). Quest’ultima, piccolissima, si mangia tutto il film per la sua bravura.
Questi i protagonisti, con l’intreccio che si svela a poco a poco, da un babymonitor che capta le comunicazioni insettiformi tra gli alieni, ai canali televisivi che ne fanno ampio sfoggio, fino ai monoscopi e all’asserragliarsi in casa per respingere l’attacco incombente.
Certo, difficile che un’invasione aliena si svolga in modo così ingenuo da parte degli aggressori, che tanto furbi non devono essere, se vanno a colonizzare un pianeta coperto per il 70% di acqua, che è anche il loro punto debole.
E questa è solo la prima, macroscopica eccezione. E via via tutte le altre, che sarebbe impossibile elencare tutte. Nonché noioso.
Ok, siamo d’accordo. L’invasione è sciocca, ma anche no. Mi riferisco alla teoria esposta nel film, dal trio con i coni di alluminio in testa, secondo la quale, eventuali invasori non userebbero armi ad area, ma preferirebbero il corpo a corpo, onde evitare il nostro sicuro contrattacco con le armi nucleari che distruggerebbero ogni cosa, soprattutto le risorse. Questa è una teoria che ci fa comodo, ma non è stupida.

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Certo, ultima aspetto sarebbe la questione della fede. Anche qui, ognuno può avere le sue idee. Ma analizzando l’intreccio per quello che è, io trovo che sia ottimo. Anche perché, nonostante possa apparire nettamente schierato verso l’ipotesi Dio C’è, è possibile anche che siano gli stessi personaggi ad attribuire a certe parole, ricordi del loro passato, a certe manie del presente (l’intolleranza di Bo verso l’acqua, ad esempio), significati pregnanti nell’immediato, tali da consentir loro di risolvere a proprio vantaggio la situazione contingente. Insomma, a me Shyamalan continua a piacere. E non posso fare altro che aspettare il suo ritorno.

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