Signs

Da Mariparacchini
Si sta parlando in massa di The Visit, ultima fatica di uno registi più perculati della blogosfera: Shyamalan. Lo so che non lo trovate mai in giro scritto col nome giusto, noi ci divertiamo a storpiare il suo nome da brave personcine mature quali siamo, ma garantisco che il film è suo.
Ne ha parlato anche Frank, qui, e parlandone diceva che Shallallà ha fatto delle belle cosine (e guardate che Frank è uno a cui non era piaciuto Il sesto senso) tra cui la prima parte di Signs, che ho realizzato di non avere mai visto.
Per cui, mentre i blogger seri parlano di nonni e mockumentary, io, facendo leva sulla mia possente trasgressione, parlo di Shyamalan sì, ma di alieni.
Alieni che travolgono le vite di Graham, Bo, Morgan e Merrill, una famiglia già scottata dalla perdita della donna di casa: mamma, moglie e cognata. Si parte dai cerchi nel grano, fino all'arrivo degli autori degli stessi.

Premesso che gli alieni non mi hanno mai fatto paura e che il fenomeno dei cerchi nel grano mi incuriosisce in un modo incredibile, a me il film di Shallallero è piaciuto.
E non è scontato, perché con questo qui o si parla di filmoni o di misere cacchette, non so come ci riesca. Vogliamo ancora tutti un gran bene a The Village, ma siamo gli stessi che cercano di capire come gli sia venuto di mettere Zooey Deschanel in un film horror.
Guardare Signs per la prima volta in questo particolare momento storico rimanda alla mente certi riferimenti che danno al film quasi un'aria di inquietante premonizione.
Enormi problemi globali (il mondo intero è colpito dai cerchi nel grano, si parla di Gerusalemme, Pechino...) vissuti nella piccola quotidianità di una fattoria sperduta chissà dove. Un pericolo incombente, la possibile fine del mondo (come lo conosciamo). Mi è stato fin troppo semplice pensare a quello che stiamo vivendo, al nostro comodo e pacifico mondo occidentale che viene scosso tremendamente da 'alieni' che, forti delle loro convinzioni, vengono qui e ci uccidono mentre siamo ad un concerto. E noi, comuni cittadini, non abbiamo alcuna arma per difenderci, possiamo al massimo inchiodare le finestre e calmare i nostri bambini raccontandogli il momento della loro nascita. Accendi la tv e senti le notizie, vedi la cartina dell'India tempestata di fenomeni di cerchi nel grano e pensi che l'India è lontana da te, quel segno strano nel tuo, di campo, te l'ha fatto il vicino di casa dispettoso. Poi non è più solo l'India, è la Cina, Israele...è il mondo intero che sta combattendo un nemico comune. Quando poi vai dal compaesano e scopri che quel nemico lì è chiuso nel suo sgabuzzino, cominci a fartela sotto dalla paura. Più le cose sono vicine a te più sono reali. E non è indifferenza verso il resto dell'umanità, è timore. Se il cerchio nel grano è proprio nel tuo giardino, a meno di un miglio dal viso di tuo figlio, il timore diventa terrore.
Mi sono riconosciuta in tantissimi sentimenti dei quattro personaggi: nell'ingenua paura della piccola Abigail Breslin, che sapete essere la salamotta che ha fatto nascere in me l'istinto materno (come si partoriscono bambine belle così? non me ne capacito), nella feroce curiosità del giovane Morgan, nella spietata serietà del padre. E nel liberatorio pianto finale dei quattro,

Posso quasi anche accettare che l'alieno sia francamente ridicolo, davvero. Ho sempre più paura del non visto, e unghie lunghe verdi avrei preferito davvero non vederle. Ma non ho mai detto che fosse un film perfetto. Joaquin Phoenix, poi, piccola perla che non è altro, lo voglio ricordare con un imbuto di alluminio in testa, perché nessun'altra immagine gli renderà mai altrettanta giustizia.
E poi, sì, poi parliamo anche di nonni.