Silent City – 12ª ed. Riff – Rome Independent Film Festival

Creato il 10 aprile 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2012

Nazionalità: Netherlands,Luxembourg,Belgium

Durata: 90’

Genere: intimista

Regia: Threes Anna

Produzione: KeyFilm, Samsa, Skyline Entertainment

 

Custodire  e preservare intatta tutta la forza e la purezza di un sogno e di se stessi

La mia migliore visione tra quelle su cui ho potuto soffermarmi al Riff: il secondo lungometraggio di Threes Anna, autrice e regista, nota per il legame con la compagnia teatrale Dogtroep, per cui ha scritto e diretto oltre cinquanta pièce teatrali. Il suo primo lungometraggio, The Bird Can’ t Fly (2007), è stato premiato come Miglior Opera Prima tedesca. Presente nel concorso internazionale al Riff, Silent City (racconto, in origine, in cui Threes Anna si è ispirata alla sua singolarissima esperienza in Giappone mentre lavorava come apprendista in teatro) è una pellicola dolce, sensuale, dotata di un tocco intimista che pervade tutta la narrazione. L’animo di Rosa (una sorprendente Laurence Roothooft) lo respiriamo a pieni polmoni ed occhi, innanzitutto nel sogno che porta avanti: imparare a cucinare il pesce dallo Chef Kon, un guru dell’arte della preparazione di un animale antichissimo e ‘venerato’ dai giapponesi. Per dargli vita, ha abbandonato il suo paese, l’Olanda, il lavoro in un ristorante, immergendosi in un mondo estraneo-estraniante: Tokyo e la sua velocità, una lingua ‘criptica’, il ‘maschilismo’ che ancora vige nell’arte della cucina. Custodire  e preservare intatta tutta la forza e purezza del suo sogno, non sarà affatto semplice, e Rosa ne sperimenterà tutte le difficoltà, condensabili nel concetto molto lato di incomunicabilità. Che è in primis sociale – nel flusso umano impersonale di Tokyo, reso ancora più immune da qualunque contatto dal silenzio linguistico e culturale oppostole a qualsiasi tentativo di instaurare un approccio – Rosa sarà resa ancora più sola-isolata, nella frustrazione di venire lesa giorno dopo giorno nella spontaneità e voglia della ricerca di un’integrazione. E, anche interiore: lo stato di meraviglia, di densità che lo sguardo e il vivere di Rosa custodiscono, viene alimentato solo da se stessa. Intorno a lei, nessuno sta al suo passo, nemmeno lo asseconda.

La varietà e la ricchezza, palpabili, del suo mondo interiore, simbolicamente racchiusi nell’amore per il pesce, l’odore, il tatto che produce, la spiritualità che lo racchiude nella pratica ‘sacra’ che in Oriente è il cibo, la sua preparazione, la sua assimilazione, si traducono, visivamente, in una commistione affascinante tra il mondo dell’acqua, la sua lentezza, profondità, il suo silenzio, la sinuosità-sensualità che racchiude, e la ‘dura’ patina dell’esistenza: rumorosa, fugace, insensibile, violenta, superficiale. Rosa troverà riparo dal ‘caos’ entrando nella scatola di un barbone (troppo ‘etereo’ per esserlo, ma la nostra rottura del credibile lo abbraccia con tutto l’abbandono possibile, poeticamente possibile) e consumando-condividendo senza parole una zuppa delicata. L’unica stonatura di questa strana e affascinante pellicola: semplice eppure stratificata, di un’intimità soffusa ma pervasiva, bidimensionale nei rimandi alla terra e all’acqua, all’interno e all’esterno, alla realtà e al sogno, è il sottofondo musicale. Di maniera, ‘abusato’ nell’uso e nella permuta di stile a cui rimanda, il solo tocco impersonale di un ritratto decisamente attraente.

Maria Cera


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