25 novembre 2011 di Titti De Simeis
Se si ascolta il silenzio (…) si è sulla strada giusta perché si ha la chiave per ascoltare la musica dell’anima (Francesco Negro)
Le prime luci della sera. Fuori la porta una piccola scritta: “Silence” .
Ho appuntamento con Francesco, un amico, un musicista, un pianista. Questa è la sua scuola. Qui insegna, compone, gioca con le note, come lui ama fare.
Viene ad aprirmi, sorridente come sempre. Mi metto a sedere e lo seguo, con lo sguardo. Un pianoforte a coda, sotto una lampada bianca, riempie di riflessi caldi la stanza. Lui si avvicina e inizia a suonare. E’ così che mi racconta di sé, del suo ultimo percorso di lavoro e di “Silentium”, il nuovo cd.
Ed io, lo ascolto.
Le sue mani arpeggiano pensieri e confidano ai tasti le sue emozioni.
- La musica è una dimensione in cui vivo e in cui cresco. Sono trascorsi due anni da quando ho iniziato a lavorare per questo cd, ed è stato un percorso ricco di esperienze e condivisione, il più intenso. E’ nato dall’incontro con Ermanno Baron ed Igor Legari, con cui abbiamo dato vita, poi, al trio che, oggi, siamo -
Lo lascio parlare senza interrompere, il suo racconto sembra un viaggio, tra i ricordi racchiusi in dieci tracce scritte nella copertina di fondo.
- Siamo entrati in sala di incisione ed abbiamo iniziato a suonare. La nostra è diventata una ricerca di noi stessi attraverso la spontaneità di quello che suonavamo, di getto. Uno dei brani è nato da un momento di improvvisazione di Ermanno: ha iniziato a suonare i piatti, rompendo il silenzio, io, a mia volta mi sono introdotto col pianoforte ed Igor ci ha seguiti, con il basso. Le nostre idee si sono sviluppate pian piano, così, generando i due “frammenti”, appunto -
Si ferma un attimo, prende il disco. Si avvicina al computer ed avvia il cd. Sento emozioni muoversi ‘a pelle’. Si siede di fronte a me. Il suo sguardo evoca immagini.
- Tutto quello che senti è venuto fuori dalla nostre reciproche esperienze, reciproche perché condivise appieno, in ogni cosa che abbiamo fatto, insieme. La personalità della nostra musica è scaturita dalla fusione di noi tre, con le nostre singole personalità. Noi tre abbiamo vissuto, non solo nella musica, ma soprattutto nelle quotidianità, in momenti di vita e di gioco. Ed è questo che è stato, ed è, la musica per noi: gioco. Se ci pensi, ‘giocare’ è la traduzione del verbo ‘suonare’ in lingue come l’inglese o il francese.
In Italia si è diffusa un’idea seriosa della musica, ci sono tanti musicisti che hanno un’ottima conoscenza degli strumenti, li suonano alla perfezione ma non vanno alla ricerca di se stessi e finiscono col non trasmettere nulla in chi li ascolta. Ciò che io penso è che lo studio deve renderci capaci di entrare nella musica, capirla, ma soprattutto conoscere noi stessi attraverso essa, e, così, esprimerci in modo da emozionare l’ascoltatore anche con qualcosa di poco conto, senza bisogno di artifizio alcuno -
Gli faccio cenno con la testa di continuare a raccontare.
- La finestra sul cortile, la quinta traccia, ad esempio, è nata in un periodo ma si è sviluppata in seguito, prendendo un’altra direzione, fondendo il lavoro di noi tre, che eravamo partiti senza prefiggerci nulla e che siamo arrivati, alla composizione di un brano molto particolare, costituito da un intro di pianoforte lunga che lascia, poi, il posto ad un momento diverso in cui s’intrecciano gli altri strumenti, passando, così, ad una atmosfera più corposa.
Mi stupisco di come riesca a parlare di musica facendo diventare le parole stesse dei suoni che si mescolano alle note e prendono spazio nella stanza.
C’è una traccia che mi affascina in modo particolare, l’ultima: La mia Africa.
Gli chiedo di alzare il volume. Qui le emozioni prendono un ritmo nuovo, mescolato al carattere portante di tutto l’album, ma arriva diretto, irrefrenabile, su registri che invocano danze finché anche il corpo sembra accorgersene.
Mi guarda curioso di quello che sto per chiedergli, ma, un attimo, e mi precede.
- Non sono mai stato in Africa, ma ne sono affascinato da sempre. Anche musicalmente. Vedi, nel percorso di studi classici, si tende a trascurare il ‘rapporto fisico’ con la musica. Questo non viene insegnato perché si crea un muro netto tra chi suona e la musica stessa. Io ho sempre evitato che si ergesse questo muro, sono stato sempre coinvolto sia spiritualmente che fisicamente. Ed in questo lavoro mi è stato di molto aiuto il mio amico Greg Burk che mi ha insegnato a ‘vivere’ questo aspetto della musica. Alla fine ho capito che, in qualsiasi composizione, se c’è un ritmo il corpo reagisce, e, se il piede batte vuol dire che l’energia è giusta. E l’energia è l’emozione più forte e più importante che la musica possa regalare ad ognuno -
Socchiude gli occhi lasciandosi azzittire dalle note figlie del pentagramma che lui stesso ha riempito di raffinatissime emozioni. In quegli stralci di silenzio torno a capo, al nome che racchiude i dieci brani del cd.
Porto un dito sulle labbra, in segno di ‘tacere.
- Ti racconto una cosa – mi fa. – Io sono molto legato alla teoria sul silenzio di Cage. Dice che il silenzio è quello che noi non vogliamo ascoltare, così come il rumore. Ma il silenzio, in realtà, in natura non esiste. Esso altro non è che una sovrapposizione di suoni: se noi stando zitti riusciamo ad ascoltarlo ci rendiamo conto che, al suo interno, qualche rumore c’è sempre, rumore che potrebbe diventare, magari, anche un suono. Il silenzio è molto importante se lo sappiamo ‘sentire’. Mi auguro che chi ascolterà la nostra musica, sia capace di entrare a vivere nelle note, nella spontaneità di ogni passaggio, di ogni movimento e nel silenzio di ogni respiro -
Eccomi, azzittita anche io.
Distolgo lo sguardo da lui e torno alla tastiera: un fiume in bianco e nero riflesso nel legno lucido del pianoforte, che ora tace.
In fondo ad essa, un metronomo a forma di gufo, amico buffo e discreto delle sue improvvisazioni, dei suoi studi, del suo tempo.
Il tempo delle sue battute e quello dei suoi, preziosi, silenzi.
Grazie, Francesco.
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