Quattro giorni di pausa, da utilizzare per riprendere fiato, in vista della corsa finale verso la chiusura dell’anno. Quattro giorni senza impegni, scadenze, doveri, riempiti per la maggior parte solo da cose che mi piacciono, programmati secondo i miei ritmi.
Oggi ho preso una pausa dal mondo e ho scelto il silenzio. Vi è mai capitato di trascorrere volontariamente una giornata intera, seppur circondati da centinaia di persone, nella totale solitudine di una bolla trasparente?
Avrò pronunciato meno di cinquanta parole, contando i “buongiorno” e i “grazie”, comprendendo la richiesta di un biglietto andata e ritorno per Milano, includendo pure l’acquisto di un ingresso al Museo della Scienza e della Tecnica. Sono salita su un affollatissimo treno regionale, poi su una carrozza strabordante della metropolitana, ho aspettato il mio turno in coda, ho trascorso tre ore a girellare per le esposizioni del museo, sono ritornata via metro e poi in treno fino all’auto. Non avevo libri con me, la musica con gli auricolari l’ho ascoltata poco, sono solo rimasta in silenzio dentro la quiete della mia bolla né mi andava di uscirne. Ogni tanto ho bisogno di giornate così. Lo spazio dei pensieri e il tempo delle ore oggi me l’hanno occupato gli oggetti.
Questo orologio da tavola a forma di scafandro, per esempio, che credo sia in assoluto una delle cose più brutte che io abbia mai visto fino ad ora.
O le pale a doppio cucchiaio della turbina Pelton, lontani ricordi del corso di Macchine. Come mi succede ogni volta che le vedo, mi domando perchè, ai tempi dell’esame, preparato senza riuscire a trasferire le formule teoriche in esperienze pratiche, non avessi nemmeno lontanamente pensato che, forse, ad osservare una turbina da vicino, magari si sarebbe accesa la luce della comprensione dentro di me.
E poi un pot pourri di vecchi telefoni, con la solita, puntuale, immancabile considerazione: i musei della scienza mi fanno sentire vecchia. I musei di archeologia mi parlano di passati lontanissimi nella mia testa e gli oggetti esposti raramente lambiscono la dimensione del tempo della mia esistenza. Tanti di questi, invece, li ho usati anche io: passato prossimo per me, trapassato remoto per le occhiate veloci dei bambini che passano incuranti. Ma quanto stiamo correndo?
Meno male che c’erano anche i treni e le navi e gli aerei a provocare la fantasia. A voi non viene subito la voglia di partire, davanti ad un treno a vapore, anche se non ne avete mai visto uno in funzione?