Il fatto è che la Bundesbank, nel presentare alcune sue valutazioni sull’operato della Bce in relazione appunto al Meccanismo europeo di stabilità, ha prodotto un durissimo atto di accusa, nei confronti della banca centrale europea e dell’operato di Draghi, ravvisandovi non solo inadeguatezza, ma anche un conflitto con i trattati europei e con lo stesso statuto dell’Istituto centrale. In particolare si infierisce con l’acquisto di titoli sovrani di Paesi europei in difficoltà, quella operazione (più virtuale e mediatica che reale) che è all’origine dell’abbassamento degli spread italiani e spagnoli. Non solo, ma sono stati fatte oggetto di critiche radicali anche le concessioni di liquidità straordinaria che hanno permesso (ma sarebbe meglio dire costretto) la Grecia a rimanere nell’euro.
Noi stiamo qui a baloccarci con i fantomatici eurobond, mentre in Germania si va in rotta di collisione per molto, molto meno. Ma è chiarissimo, quasi esplicito, il significato del documento della Bundesbank e del suo direttore Weidmann: far sapere che alla Germania o quanto meno a una vasta parte della sua economia e finanza l’euro non interessa più di tanto: se messa di fronte al dilemma di affrontare la messa in comune del debito, ma anche di una sua modesta parte o di abbandonare l’euro sceglierebbe quest’ultima strada. Quindi non venite a domandare revisioni del fiscal compact, minor rigore o manovre sottobanco per sostenere i titoli di stato, perché cascate malissimo.
E del resto il momento per rivelarlo è venuto: la messa in crisi di tutto l’apparato concettuale dell’austerità, le timidissime aperture di Bruxelles, la possibilità che il nuovo governo italiano batta cassa, le resistenze sempre maggiori di Portogallo e Spagna, il malcontento sociale diffuso in Germania, la nascita di un partito anti euro che conta tra le sue file fior di economisti, le elezioni di settembre, sono forse sembrate alla Bundesbank il momento ideale per mettere tutto il suo peso sul piatto della bilancia di scelte peraltro quotidianamente ed esplicitamente dibattute. Del resto due settimane fa anche l’editorialista del Financial Time, Wolfgang Münchau, europeista convinto, aveva detto che un’uscita della Germania dall’euro (“una moneta che non porta vantaggi alla Germania e danneggia gli altri Paesi”) sarebbe la soluzione meno traumatica per sciogliere un’unione monetaria nata male e incoerente senza un’unione politica che tuttavia è di là da venire.
Però di tutto questo da noi nemmeno si parla, come se non esistesse, intenti ai nostri inciucini e ben determinati a non far sapere come la “difesa dell’euro” per il quale abbiamo buttato lacrime e sangue, sia stato un beau geste abbastanza insensato nei modi e nell’arrendevolezza nei quali si è concretizzato. Sarebbe la nostra Bankitalia, anche ammesso che avesse conservato una qualche autonomia, a dover dire che senza una integrazione più forte e l’istituzione di meccanismi che possano simulare l’emissione di moneta “sovrana”, noi non ci possiamo più stare. Lo avessimo detto un anno fa avremmo stanato la Merkel. Adesso non possiamo che subire il gioco altrui. Però la soluzione della nostra classe dirigente è astuta: basta che non si sappia in giro.