Silvio è alle corde. S’alza il vento, soffia la bufera
Creato il 14 giugno 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Anche se “la” notizia del giorno non può che essere il raggiungimento del quorum ai referendum, ce n’è un’altra che secondo noi merita l’apertura del nostro post quotidiano e che, di conseguenza, ci costringe a spostare il ragionamento su un piano diverso da quello della celebrazione scontata e un po’ puerile. In Sicilia si è votato per il rinnovo di 11 consigli comunali e il risultato è stato ancora una volta un “cappotto”, chiaro segno che ai siciliani piace il “tutto o niente”. Stavolta a rimetterci le penne è stato il centrodestra, al quale sono state soffiate amministrazioni da alleanze che hanno visto correre insieme Pd, Idv, Sel e Terzo Polo. Bagheria, Lentini, Ragusa, Vittoria, Noto e Mazara del Vallo (per citare i più importanti), sono passati dal centrodestra al centrosinistra contribuendo a rendere chiaro il concetto che Silvio&his Friends sono ormai alla frutta, un dato storico e politico inequivocabile. Le alleanze che stanno sovvertendo un potere che si autoconservava nell’isola da anni, sono il frutto di quella che potremmo definire la “grosse koalition” all’italiana che, partita dalle Marche, si sta allargando a macchia d’olio anche in altre parti della penisola, Sicilia e Sardegna comprese. Il segnale è chiaro, nonostante Gianfranco Miccichè abbia messo in piedi il contraltare sudista della Lega (cercando di confondere le carte del gioco politico con la sua Forza del Sud), quando gli altri partiti decidono che i berluscones devono tornarsene a casa, e si alleano, non c’è trippa per gatti e Silvio deve ricorrere forzatamente a una dose massiccia di Maalox. Qualcuno ha parlato di “vento nuovo” anche in Sicilia (in Sardegna è spirato un mese fa), ma quello che è sotto gli occhi di tutti è che per uscire dal berlusconismo è indispensabile riproporre il CLN, lo stesso comitato di liberazione nazionale che condusse l’Italia fuori dal fascismo per poi ridisegnare l’assetto di una nazione uscita sconfitta dalla guerra. Nonostante il bla bla ricorrente fra i liberi servi, che tende ad accreditare il politico Berlusconi di un alto tasso di democraticità, il rischio che questa nazione ha corso di ritrovarsi sotto un regime dittatoriale camuffato da democrazia è stato altissimo. Crediamo sia inutile ripercorrere le vicende che hanno portato gli italiani a rendersi conto che c’era qualcosa che non funzionava, dai tentativi di impossessarsi dell’informazione nella sua totalità a quelli rozzi di condizionare la magistratura fino alle volgarità gratuite nei confronti degli stessi italiani che non la pensano come lui, Silvio ha cercato di mettere il marchio di fabbrica su tutto ciò che in Italia dava la sensazione di muoversi. Uomo malato e ossessionato, vittima della sindrome da giovanilismo conclamato e di una mania di persecuzione sconfinate, Silvio ha cercato con le unghie e con i denti di restare a galla fino a quando la disperazione non lo ha gettato nella braccia di Scilipoti e di quelli che, come l’agopunturista di Barcellona Pozzo di Gotto, hanno dimostrato di avere bocca buona e mascelle bioniche. Come accade alle vittime di frequenti attacchi di deliri di onnipotenza, Silvio ha fatto tutto da solo. Ha vinto e perso giocando sempre all’attacco convinto di aver ormai affascinato gli italiani e di averli resi schiavi della sua strabordante personalità. Ha commesso un errore fatale, ha voluto stravincere non accontentandosi di aver vinto, ha preteso l’intera posta quando un piatto più misero gli avrebbe comunque consentito di tenere la mano. Così facendo ha dato una chance inaspettata a un centrosinistra totalmente privo di personalità e allo sbando, ha rinserrato le fila di una opposizione eterogenea che è sempre andata in ordine sparso fino a garantirgli la sopravvivenza anche quando sarebbero bastati due voti in più a mandarlo sotto definitivamente. PiLu Bersani, alla fine, ha avuto un gran culo, ha cavalcato situazioni create da altri e non dai capi che continuano a muoversi nell’ombra, e non ci si venga a dire che in questa fase è emersa la sua figura di statista perché sarebbe una puttanata difficile da sopportare. Probabilmente gli italiani che sono andati a votare sono stati spinti dalle nostre stesse motivazioni: l’impossibilità di continuare a vivere in uno stato governato da Berlusconi e da Bossi, da Brunetta e da Bondi, da Gnazio, da Gasparri e da Calderoli, e un rigurgito di dignità che ha avuto il sopravvento sul totale senso di sfiducia nella politica dei D’Alema e dei Veltroni, dei Di Pietro e degli stessi Vendola. Di Beppe Grillo non parliamo, lui è uno che si basta da solo. Ora c’è da voltare pagina. Le amministrative e i referendum, con il loro risultato inatteso e pur con la sindrome del moribondo che li ha accompagnati, ci hanno fatto capire che gli italiani si sono svegliati da un letargo che rischiava di diventare eterno fino a rasentare la dipartita fisica e mentale. Siamo convinti che si sia svegliata anche la nostra amica casalinga di Abbiategrasso stanca di vedere in tivvù la faccia smorta di Emilio Fede (dopo il ciclone giudiziario che lo ha investito) e perfino i vecchietti viagrati di Villa Sorriso rianimati dalla Santanchè. L’aria è cambiata e l’opera di disintossicazione dai miasmi del berlusconismo sarà lunga e difficile, scorie destinate a restare attive per decenni. Ma la strada è stata imboccata e perfino Di Pietro, che sembra reduce da una total immersion nella meditazione trascendentale, se n’è reso conto e assunto la postura dello statista, analfabeta ma pur sempre statista. Dal berlusconismo si esce con Casini, con Rutelli e con Fini? Facciamo come il nostro maestro Montanelli e turiamoci il naso, nonostante D’Alema e Veltroni l’aria tornerà almeno respirabile.
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