Silvio Micheli, La notte del naufragio – Parte prima

Creato il 23 maggio 2013 da Paolorossi

Faro vecchio con campanella che serve a chiamare soccorso – foto tratta da “A Viareggio con il treno dei ricordi” Pezzini Ed. 1992

Anche quella notte la campana del faro prese a suonare a martello. Il libeccio scuoteva porte e finestre. La gente discesa in strada si teneva a ridosso delle folate che si abbattevano impetuose. «Vergine misericordiosa», imploravano le donne, il volto stretto nella pezzuola nera, l’angoscia nei sospiri. Era l’autunno del ’23, luna con gobba a ponente. Le lettighe della Croce Verde (le autombulanze non esistevano ancora) accorrevano spinte a braccia dai militi addetti al soccorso: due col petto allo sterzo, gli altri alle maniglie sul dietro. La Croce Verde aveva la sede nella mia stessa strada, ma più verso i monti, un tempo Via della Luna. In quel mese era la terza volta che il libeccio soprendeva al largo nottetempo i  velieri che governavano sottocosta. Viareggio non disponeva allora di un appoggio sicuro. Imboccare i due moli col vento di traverso e il mare che rompeva sui bassi fondali era impresa da esperti ma sempr disperata.

«Guai a te se ti muovi da casa,» disse mio padre nel vestirsi, «Dov’è che vuoi andare? Torna subito a letto.»

Erano suonate da un pezzo le dieci. Le raffiche miagolavano nella cappa del camino. I miei fratelli tremavano di paura più che di freddo; la mamma continuava a mischiare preghiere con esortazioni e lamenti. «Anime del purgatorio,» diceva, «pregate per loro». Aveva anche lei padre e fratelli in mare ma chi sa dove. Dietro le lettighe arrancava il carro-attrezzi con cannoncino lanciasàgola sotto la grigia incerata. Ai militi, altri si univano a spingere. Nel gruppo vidi il Santini.

«O Renato, » chiamai, «che succede?» «Un bastimento che affonda.»

«Dove?» «Là.»

Lui abitava davanti la Croce Verde; gli zii prestavano servizio in sede.

«Aspetta, »dissi, «vengo anch’io. »

Non si fermò. Non voleva lasciarsi distanziare. Staccai la corsa, lo raggiunsi nei Giardini d’Azeglio. La fiataccina e l’emozione c’impedivano di parlare. Quelli con la bicicletta ci sorpassavano ai lati. Anche mio padre era partito in bicicletta. Giunti in Viale Manin, le lettighe e il carro svoltarono a destra. Le sferze c’investivano ora in pieno. Il mare rompeva ai bagni, le rotonde ne erano quasi sommerse. Imponenti ondate di rigetto nella spiaggia libera costringevano la folla a indietreggiare ogni volta in modo precipitoso. Il bastimento, una macchia oscura fra i bianchi marosi che si accavallavano, poteva trovarsi a centocinquanta forse duecento metri, offuscato dal salino che il vento volava insieme alla schiuma.

Navicelli scagliati dalle onde contro la punta del molo – foto tratta da “A Viareggio con il treno dei ricordi” Pezzini Ed. 1992

[…] Le prime fredde luci dell’alba sbiancavano il profilo delle Alpi Apuane quando, degli otto naufraghi, soltanto quattro venivano tratti in salvo. Nella viva luce del giorno il mare rendeva uomini e cose. Durò due giorni a straccare relitti. Poi abbonacciò. Né io né Renato ritornammo nel tratto di spiaggia lungo il quale  avevamo visto alla vivida luce dell’alba uomini e cose rotolare straccati dal mare.

Silvio Micheli, “Straccali e maschere nella vita e nella pittura di Renato Santini” tratto da Viareggio Ieri . N.16 – febbraio 1990