Si camminava in silenzio, bàttima bàttima fra gli straccàli che le mareggiate imponenti ammucchiavano a terra in seguito alle piogge dirotte in montagna e alla piena dei fiumi. In quella fiera di cose, Renato osservava con interesse i rami scosciati, le radici contorte, i viluppi vegetali, gli avanzi di quanto adoperato dall’uomo nelle aie e nei beni domestici [… ]
Ma vi erano anche relitti marini, forse, di velieri ridotti a fare avarìa, sorpresi al largo da violenti uragani, o di velieri finiti per occhio, chissà dove, chissà quando: parti di opere morte, boccaporti, staminali, incinte di lance, sferze di vele, osteriggi, e non di rado magnose e chiodare che i marinai indossavano a bordo durante i quarti in burrasca.
Nei grigi e freddi meriggi spazzati dal vento con la pioggia ferma nell’aria, il mare spianato a ritroso, ci piaceva accendere un fuoco e poi alimentarlo con straccàli di bosco.
Anche gli arsellai ne accendevano lungo la riva uscendo bagnati dalla secche marine. Erano vecchi marinai della vela ridotti a ripieghi per attondare la magra pensione. Alle volte venivano al nostro.
«O ragazzi,» dicevano, «che ci fate qua con la tramontana che pela?»
E si accosciavano sopravento alle fiamme, le mani gronchie protese, il tremito addosso. Né io né Renato non avremmo mai confessato che ci garbava quel cielo basso e chiuso, la maretta che frangeva a giusti intervalli, le nostre orme lasciate sulla bàttima, gli straccàli come come compagni di spiaggia.