Silvio Micheli, Un mare che porta via

Creato il 12 maggio 2013 da Paolorossi

Il 18 agosto 1946, pochi giorni dopo l’assegnazione del Premio Viareggio a Sergio Micheli per il suo romanzo “Pane duro” , l’Unità pubblica il suo racconto   “Un   mare che porta via”. Questa  è la trascrizione:

“Vedeva le nuvole, gli anni, il volto di lui come una lanterna nel buio del mare, ogni sera. Gli sbruffi portati dal vento bagnavano il cristallo e tutto, allora, appariva attraverso una voglia di pianto che sapeva di lontane canzoni, di giorni che mai più sarebbero tornati per lei, perché stava scritto cosi e cosi bastava a ogni giorno il suo dolore. Nella tromba di sabbia e di schiume si confondeva il cielo col mare, e la terra ospitava ancora la casetta dove si faceva dura la vita, come un’attesa col tempo battuto a martello nel vuoto del cuore. Nella bufera di sabbia e di schiume, la piccola casa appariva e spariva sull’orlo del mare dove il libeccio scoppiava improvviso. Pareva che sempre sbattesse una finestra, ora vicino ora lontano ora dove il giorno s’attaccava con mani d’affogato al filo di un orizzonte devastato dalla mano di dio. Schiere di ergastolani erano nuvole che ricordavano lui, che lasciavano vene di sangue negli squarci del giorno, in quel tramonto d’autunno che sapeva di foglie pestate e di lui. Di lui che ripeteva: «Nel caso attacca la lanterna alla finestra, e canta forte».Con gli occhi piantati sul cristallo sporco di sabbia e di schiume Maria guardava le onde che si alzavano sul tetto e che battevano colpi all’uscio di casa con l’impeto di lui quando ritornava la sera e con poco pesce nella rete. Un sole rosso a piombo sul mare buttò luce nella tromba di rena e dì schiume che succhiava la casa e poi cadde nei gorghi. La donna tolse gli occhi dal cristallo e qualcuno disse nella cappa del camino insieme al vento: — Paura che Gianni stasera resterà a mezza strada.

Maria corse alla porta e tolse il chiavaccio, ma un’ondata di rena e di schiuma la buttò forte indietro. Poi la porta si richiuse, poi ancora prese a sbattere e nella stanza entrò molta sabbia e il grido del mare in bufera. La donna con le spalle chiuse l’uscio, prese una brancata di falaschi e l’accese. Ma il fumo rimase nella stanza e il libeccio prese a urlare nella cappa al pari di un affogato. — Che c’è? — chiesero a un tratto. — Visto che fuoco sul mare?

La donna corse a piantare gli occhi sul cristallo e quando la tromba di sabbia e di schiume passò oltre il tetto, lei allora vide le onde gialle e terribili che si alzavano improvvise, poi le udiva battere all’uscio e facevano sempre la stessa impressione.— Gianni? — chiedeva lei ogni volta.  Rispondeva il mare col grido dell’affogato che viene di lontano, portato dal libeccio. Faceva sera e la voce ripeteva nella cappa: — Che giova pigliare marito, metter su casa e figli quando si deve tribolare tutta la vita e logorarsi cosi? Va’ al paese, minchiona. Lei invece cercava la barca nell’onde che erano bianche nella sera e non si decideva a mettere il paiuolo sul fuoco. Passò di lì un’ombra e disse dentro uno scialle nero: — Paura che stasera non dormiremo, figlia mia. Meglio nascere cani che venire al mondo con una pietra legata al collo.

Si scansò dalla finestra impaurita dall’onda che era scoppiata sul tetto, e rimase per terra, nell’angolo umido, col volto tra le mani. Apri gli occhi e vide buio; nel buio luì diceva: «Attacca la lanterna alla finestra e canta forte». Accese il lume e lo mise accosto ai vetri. Il libeccio s’infuriava in tutte le sconnessure e pareva un organo. Il lume dondolava ad ogni colpo e metteva a fuoco soltanto un cerchio di mare che ricordava il quadro del miracolo del marinaro come ce n’erano appesi in chiesa. E qualcuno disse allora: — Un pezzo che non portano un quadro del miracolo a don Raffaele.

La donna si torse le mani senza smettere di andare avanti e indietro e si voltava tutte le volte che il mare batteva all’uscio. Sentì camminare sotto la finestra e lei chiamò forte: — Gianni? Gianni? Era il libeccio e il mare mugghiava tra li scogli uscendo improvviso da tutte le crepe. Una crepa diceva: — O Maria, o Maria ! Lei si rammentò che doveva cantare forte: mise la bocca nello spacco della porta e confuse la voce col lamento del vento. Cantò: — Fino a quando, o Signore, fino a quando l’anima mia lotterà ingiustamente?

E la crepa rispondeva con la voce di lui: — Fino a quando, Maria, fino a quando?

— Fino a quando — lei chiedeva — mi colmerà di gioia la tua faccia?

Il vento portava rena e schiume e lei prese a tossire con le lagrime in pelle. Era notte e le schiume battevano ai cristalli. Una voce disse di lontano: — Perchè non ti metti lo scialle e vai al villaggio?

La donna guardò la cappa del camino e rispose nelle mani: — Farò fare un bel quadro con l’Addolorata, ma ora fate che Gianni l’anima mia ritorni dal mare. — Via! — sentì urlare in una crepa. La donna si guardò intorno e non vide che ombre mosse dal lume. Bussarono forte all’uscio e gridavano in tanti, ma lei sapeva che non era lui; che lui stava attaccato all’albero della barca. Allora si attaccò al remo appoggiato alla parete e si mise a pensare. A essere lui. Lui che pensava a lei. Il mare cresceva e sprofondava sotto la barca. E quando andava giù, lui doveva chiudere gli occhi; e quando tornava su, prendeva fiato e cercava subito la lanterna tra fantasmi di sabbia e di schiume che disegnavano la spiaggia e gli occhi di lei. Si tirò gli occhi e implorò nei pugni: — Vi prometto il quadro e due ceri di quelli pitturati, Madonna. Due magari non posso, ma uno ve lo giuro, Madonna. E la Madonna disse: — Lo so, poverina, ma come si fa?

— Si fa Madonna, basta volere!

— Non vedi che mare, figlia mia?

— Lo so, Madonna nostra, sarà un miracolo vero. Non senti, poverino, come ci chiama? .

Si misero ad ascoltare il tamburo del mare contro gli scogli dove il libeccio gridava con la gola piena di schiume. Qualcuno infatti chiamava, ma non era lui. Erano tutti i pescatori che si trovavano al largo e tutte le donne che stavano sulle spiagge deserte.

— Madonna, vi prometto che sarò buona!

— Lo so, figlia mia! — la cappa del camino rispondeva.

— Vi prometto che non penserò più di comprarmi un abito!

— Lo so, figlia mia — rispondeva la cappa.

— Allora vi giuro che non maledirò più la nostra miseria, che non piangerò più per questo, ma fate che lui ritorni. Fu allora che un colpo di mire battè alla finestra e fece cadere la lanterna. «E’ morto!» gridò la ragazza: «è morto!». Uscì fuori e si trovò l’acqua al petto. Qualcuno diceva in lei: «Che vita, che vita!», e la spingeva verso la porta.

Cadde sul letto e sentì odore di lui. Ieri aveva sposato e lui aveva detto: «Domani bisogna che vada a pescare anche col tempo cattivo». “

Silvio Micheli

( La foto è tratta da A Viareggio con il treno dei ricordi, Pezzini Editore 1992 )