Simon Killer
(Simon Killer)
Antonio Campos, 2012 (USA), 105’
Simon (Brady Corbet) studente americano appena laureato, decide di partire per Parigi nel tentativo di dimenticare una lunga storia d’amore finita da poco.
Solo, in una città che conosce appena, trova conforto nella relazione con la dolcissima Noura (Mati Diop), una giovane prostituta dalla storia problematica. I fantasmi del passato sono però in agguato.
Antonio Campos, trentenne newyorkese venuto alla ribalta per la sua opera prima Afterschool (presentata a Cannes nel 2008), è uno dei registi più interessanti del panorama indie americano. Con Simon Killer torna sulla proverbiale “scena del delitto” dimostrando però maggiore maturità: c’è, evidente in ogni scena, una chiara impronta stilistica nel suo modo di fare cinema, a partire dalla scelta di inquadrature e movimenti di camera mai banali, sino ad un peculiare uso della musica, con la soundtrack a svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo della storia.
Come accade per uno sconosciuto qualsiasi, lo spettatore si trova a conoscere Simon poco per volta, esperienza dopo esperienza. All’inizio non c’è spazio per altro sentimento diverso dall’empatia (se non forse un po’ di pietà) nei confronti di questo ragazzo smarrito, abbandonato dall’amore della sua vita ed esiliato in una Parigi ostile, dove ogni passante sembra pronto ad aggredirti. Persino la madre, in freddo collegamento Skype, è capace solo di spronarlo a “smetterla di essere triste”; nelle sue parole però per la prima volta si inizia a scorgere qualcosa di inatteso, qualcosa che finalmente non è filtrato solo attraverso la prospettiva di Simon, nella quale chi guarda è destinato a restare intrappolato per buona parte della narrazione. Il motivo della sua separazione dall’amata Michelle è infatti nebuloso ma al tempo stesso in qualche modo inquietante: alcune mail criptiche lasciano intuire che un episodio piuttosto grave abbia spinto la ragazza a volerlo lontano dalla sua vita.
Dietro quell’aria da bravo ragazzo, neolaureato fiero della sua pubblicazione accademica, si cela una instabilità emotiva e psicologica che affiora in modo sempre più evidente col passare del tempo. “Visto da vicino nessuno è normale” recita un motto piuttosto saggio, e nel caso di Simon ciò che si scopre è destinato a sconvolgere, proprio perché il profilo della sua psicosi si rivela, inesorabilmente, camuffato da una spiazzante normalità in grado di ingannare chiunque lo incontri per la prima volta – e della quale lo spettatore è, di fatto, la prima vittima.
Non a caso Campos sceglie di mostrare il titolo del film unicamente alla fine, quasi a sottolineare che solo dopo aver vissuto questa esperienza (è conosciuto almeno in parte il misterioso Simon) l’aggettivo “killer” può assumere un significato comprensibile.
Brady Corbet, già impeccabile psicopatico nel remake americano di Funny Games (Haneke, 2007), offre una interpretazione magistrale, garantendo al suo Simon una verosimiglianza a tratti disturbante. Campos lo segue, quasi ossessivamente, durante tutto il film: l’obbiettivo diventa parte del suo essere, riflettendo stati d’animo e quel progressivo distaccamento dalla realtà che risulta evidente nelle sequenze in cui la camera, inquadrando solo parte dei corpi, riduce ogni gesto ad azione puramente meccanica, nella quale non c’è più spazio per l’umanità.
Simon Killer è un film spiazzante, destinato a dividere proprio perché così “estremo” nelle sue intenzioni da suscitare inevitabilmente una reazione. Ma, più di ogni altra cosa, rappresenta un valido esempio di come il Cinema low cost possa essere terribilmente ricco di creatività ed intuizioni.