Sul momento ho risposto che no, non sono contro i partiti, sono contro questi partiti; soprattutto sono contro l'ingerenza dei partiti nelle amministrazioni locali.
Mi spiego: mentre un partito dovrebbe essere solo un mezzo per realizzare il bene pubblico, esso diventa il proprio stesso fine, rivelando così la sua vocazione totalitaria e la sua inclinazione alla menzogna; perdendo di vista il bene e la giustizia, si considera l’unico bene l’incremento del partito stesso e, a tale fine, si
esercita una pressione collettiva attraverso la propaganda.
Qualunque uomo politico che abbia a cuore il bene pubblico e la giustizia, dovrebbe sempre anteporli alla fedeltà al proprio partito: ma, poiché questo palesemente non accade quasi mai, l’unica soluzione è quella di ridemensionare i partiti a partire dalle elezioni Comunali, esonerando così chi voglia partecipare attivamente agli affari pubblici dall’obbligo di entrare in un partito.
Detto questo, vorrei consigliare la lettura di un libro, edito da Castelvecchi, in realtà un breve saggio di Simone Weil, con la prefazione di André Breton, dal titolo "Manifesto per la soppressione dei partiti politici". Per l’autrice, come commenta Wanda Tommasi, l’istituzione dei partiti politici è un male in tutti i sensi e la loro abolizione non potrebbe essere che “un bene quasi allo stato puro”. (p. 50) Potrebbero continuare ad esistere sì dei movimenti di opinione, ma allo stato fluido, senza etichette e senza separazioni nette fra interno ed esterno.Non sembra dunque esserci, secondo l’autrice, “nessun inconveniente di nessun tipo legato alla soppressione dei partiti”. (p. 53) Tutta la vita pubblica se ne avvantaggerebbe, liberando i singoli dall’obbligo di pronunciarsi sempre pro o contro qualcosa – segno che lo spirito di partito ha contaminato ogni cosa e che il fatto di prendere posizione ha sostituito lo sforzo di pensare.La proposta weiliana di abolizione dei partiti politici ha la radicalità delle cose grandi, che spesso sono anche semplici. Eppure, come l’autrice stessa osserva quasi di sfuggita, “per un singolare paradosso, le misure di questo genere, che non presentano inconvenienti, sono in realtà quelle che hanno la minore possibilità di essere attuate”. (p. 53) Il perché, Weil stessa lo suggerisce, non in questo saggio, ma in un altro, intitolato Non ricominciamo la guerra di Troia, quando osserva che le parole altisonanti ma in realtà vuote del nostro lessico politico – nazione, sicurezza, fascismo, democrazia, ecc. – non rimangono inoperanti, ma diventano anzi estremamente distruttive, perché dietro di loro vi sono apparati di stato, armamenti, polizie, eserciti.Dietro di loro vi è, in definitiva, il potere.Lo stesso vale per i partiti: pur svuotati di senso e screditati, oggi ancor più che all’epoca di Weil, essi continuano ad esistere perché gestiscono denaro e consensi: in breve, potere. Per una politica identificata con il potere e giocata tutta nella lotta per la sua spartizione, i partiti sono una necessità.Weil aveva in mente tutt’altra cosa: non solo la politica come arte di composizione su piani multipli, dall’attenzione alla giustizia fino al discernimento delle più minute circostanze, ma anche la possibilità per operai e contadini di dire la propria esperienza senza prendere le parole in prestito da altri, la capacità di formarsi un’opinione nello scambio con i propri pari, la circolazione di idee allo stato fluido nei movimenti.In breve, una politica sganciata dalla lotta per il potere. Quest’ultima, a causa dell’identificazione fra potere e politica, quasi non si percepisce più nemmeno come politica.Eppure, come il movimento delle donne ha giustamente rivendicato, si tratta in realtà della politica prima.Questa nota di Simone Weil sulla soppressione dei partiti politici rilancia il senso alto della politica prima e invita a prendere le distanze da quella competizione per il potere a cui si è ridotta la politica a causa della sua occupazione ad opera dei partiti.http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane