Ospite in studio, l’autrice del libro, Storia di Barlaam e Ioasaf. La vita bizantina del Buddha – Silvia Ronchey – un “romanzo di filologia” che mostra come lo studio della tradizione dei testi possa toccare il cuore degli snodi culturali e, in questo caso, degli intricati rapporti fra Occidente e Oriente. La “Storia di Barlaam e loasaf” racconta di un principe indiano che, grazie agli insegnamenti di un anacoreta, fugge dal palazzo dove il padre l’ha rinchiuso per proteggerlo dai mali del mondo, abbandona il destino regale e avvia il suo percorso mistico-eremitico. Ioasaf è in realtà il nome del Bodhisattva cioè del Budda nella fase iniziale del suo cammino spirituale. È un essere vivente (sattva) che aspira all’Illuminazione (bodhi) conducendo pratiche altruistiche. L’ideale del Bodhisattva, in quanto individuo che cerca l’Illuminazione per se stesso e per gli altri, è centrale nella tradizione buddista.
È la storia del Budda e dell’enorme diffusione che questo testo ha avuto, improntatando tutte le culture medievali e rinascimentali in un intreccio di lingue, culture e religioni diverse. “Il comportamento del padre – afferma la storica italiana – è sciocco perché nessuna storia nasce senza la cognizione del dolore e della morte, senza la quale se noi non ci poniamo in confronto, in antitesi, non possiamo godere, non possiamo provare il piacere, ne avere un’esperienza”.
“L’impero bizantino è durato tanto quanto la civiltà romana, poi ha spostato, il baricentro a est, dove si è continuato ad avere un impero romano per quanto riguarda il diritto e la conoscenza dei classici, costruendo un’ alleanza vincente tra la cutura filosofica letteraria greca e quella politico-amministrativa-giuridica romana, una formula vincente. Un impero multietnico con al suo inetrno il DNA genetico dei romani, che ha proseguito il suo cammino fino alla fine del ’900 con introduzione dell’islamismo”.
Secondo gli ultimi dati, 70.000 italiani si professano buddisti, 20.000 si sono convertiti ad Allah e quindi mussulmani, più di 4000 gli induisti, senza contare i 500 nuovi gruppi religiosi. A contribuire la successo dei nuovi credo, c’è sicuramente un effetto VIP. Sabina Guzzanti e roberto Baggio, per fare un esempio, dichiarano di essere stati fulminati dalla via che conduce al Budda. Per non parlare di Richard Gere, il bello di Hollywood, da anni sotenitore del Dalai Lama e del suo credo.
Comportamenti universali di qualsiasi religione dove, per religione, si intende il senso di legame che si ha con tutte le cose e con il mondo. Il buddismo è di più, è una grande ragnatela che si adatta a qualsiasi strato trovi, perché non ha dogmi, non bisogna dire “credo”, si adagia, trasparente, ordinante e confortante su ciò che trova. Una condizione vitale presente nella vita di noi persone comuni. Lo scopo della pratica buddista è di rafforzare quello stato vitale affinché la compassione ( cioè il vissuto del desiderio del bene nei confronti di ogni essere senziente) diventi la base di tutte le nostre azioni. Non viene perseguito in astratto o con l’unico scopo di migliorarsi o dare prestigio a se stessi: alla base di tutti questi sforzi c’è sempre la determinazione di togliere la sofferenza dalla vita degli altri esseri viventi, sostituendola con la felicità.