Le manifestanti ,con al bavero una coccarda con lo slogan “Ripariamoci dalla violenza” hanno sfilato in corteo sotto un mare di ombrelli rossi e gialli fino all’Ospedale Umberto 1°, “parole – spiega la presidente Raffaella Mauceri – con le quali vogliamo esortare le donne a ripararsi dalla violenza aiutandosi fra di loro, senza contare più di tanto su questo governo che non le sa proteggere dalla violenza e salvarle dal femminicidio. Mentre infatti la politica ci riempie di chiacchiere, – continua – le donne continuano a morire assassinate e il fenomeno sta entrando in una mostruosa “normalità” quotidiana”.
Infatti secondo il Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, il 2013 risulta essere l’anno più nero, il più cruento degli ultimi sette, da quando cioè si ha contezza della portata di un fenomeno che invece esiste da sempre. Nel 2013 sono stati 179 i femminicidi, ventidue in più rispetto al 2012, in pratica in Italia, è stata uccisa una donna ogni due giorni.
Nel pomeriggio invece ha avuto luogo, a Villa Reimann, un interessante seminario organizzato dalla Rete Centri Antiviolenza di Raffaella Mauceri e tenuto dalla professoressa Graziella Priulla, sociologa della comunicazione e docente presso l’università di Catania.
Partendo dal suo libro “Parole tossiche – cronache di ordinario sessismo”, pubblicato da Settenove, la casa editrice specializzata in testi sulla prevenzione della violenza e delle discriminazioni di genere, la Priulla ha affrontato la tematica della violenza di genere.
“Ciò che non si dice non esiste“” – esordisce la professoressa, non chiamare le donne con il loro nome significa non riconoscere i loro ruoli nella società. Attraverso il suo libro infatti la Priulla indaga il maschilismo del linguaggio in Italia, sia nella vita istituzionale che in quella del quotidiano. Perché ‘suona male’ utilizzare i termini di ministra, assessora, chirurga o ingegnera se sono delle donne a ricoprire queste cariche? Probabilmente perché in una società fin troppo maschilista e patriarcale non piace vedere le donne in quei ruoli.
Dal rapporto ‘Rosa Shocking. Violenza, stereotipi…e altre questioni del genere‘, realizzato da Intervita con il supporto di Ipsos è emerso che per un italiano su 5 è accettabile denigrare una donna con uno sfottò a sfondo sessuale, la professoressa ha infatti segnalato quanto sia tragico l’uso disinvolto del turpiloquio, specialmente se a sfondo sessuale. Le parole fanno male, soprattutto quelle che dipingono le donne con termini spregiativi, diventati purtroppo espressioni quotidiane, è anche per il tramite del linguaggio che vengono gettate le basi per la costruzione di situazioni di disparità e di relazioni di prevaricazione nella vita quotidiana.