Putin ha espresso l’auspicio che l’avvio del ritiro russo possa costituire una buona motivazione per rilanciare i negoziati di pace tra le forze politiche locali, e ha dato incarico al ministro Lavrov di intensificare la partecipazione della Russia al processo di pace in Siria: «Spero che la mia decisione possa essere un buon segnale per tutte le parti in conflitto e che amplifichi sensibilmente la loro fiducia verso la strada della pacificazione».
L’intervento militare di Mosca in Siria aveva avuto inizio alla fine dello scorso settembre e il suo impatto ha inequivocabilmente sovvertito le sorti del conflitto siriano, apportando pesantissime perdite al Califfato e consentendo alle truppe di Bashar al-Assad di riconquistare territori che in estate sembravano irrimediabilmente perduti. Tuttavia, l’allungarsi dei tempi delle trattative diplomatiche e l’imprevista resistenza da parte dei guerriglieri del Daesh e di Al-Nusra ha di fatto prolungato più del previsto la missione russa, facendo temere il concreto rischio di un “impantanamento”.
Al di là della volontà di Putin di compiere un gesto distensivo nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente, c’è probabilmente anche un motivo economico dietro la decisione di richiamare il contingente dalla Siria: secondo stime dell’IHS, think tank esperto di questioni militari, il costo delle operazioni militari sarebbe costato alla Russia dai 2,5 ai 4 milioni di dollari al giorno, un esborso non più sostenibile da Mosca.
Putin tuttavia non ha fatto riferimento ad alcun termine entro il quale il ritiro verrà ultimato, confermando che la Russia manterrà comunque una presenza militare nella base navale di Tartus e in quella aerea di Hmeymim. Secondo quanto riferito dal portavoce del Cremlino Peskov, Assad è stato subito informato della decisione russa.