Immaginate un mondo nel quale sono distribuite miliardi di micro-macchine delle dimensioni non superiori ad un chicco di riso, che monitorano costantemente lo stato del nostro pianeta, forniscono informazioni su umidità, pressione, temperatura, movimenti tellurici, chimica del suolo e dell'atmosfera, ed una marea di altri dati che, se raccolti ed analizzati a dovere, possono contribuire a rendere comprensibili alcuni sistemi della Terra ancora poco noti.
Era questa l'idea di Kris Pister, professore dell'Università della California di Berkeley. Ora quest'idea sembra possa materializzarsi grazie alla miniaturizzazione ed alla nanotecnologia, una tecnologia che è stata soprannominata da Pister "smart dust", polvere intelligente.
"Ho coniato la definizione 14 anni fa. Anche se la smart dust ha impiegato un po' di tempo, finalmente è realtà" dice Pister. Forse non sarà proprio come Pister se l'era immaginata in principio, ma la tecnologia sembra molto promettente.
La Hewlett-Packard ha infatti annunciato in tempi recenti di essere al lavoro su un progetto chiamato "Central Nervous System for the Earth" (Sistema Nervoso Centrale per la Terra), una definizione che sembra chiarire fin da subito l'intento dei ricercatori: realizzare una rete di sensori in grado di verificare lo stato del nostro pianeta.
Il progetto prevede di utilizzare la smart dust sotto forma di un migliaio di miliardi di sensori, diffusi su tutto il pianeta, che possano controllare le condizioni ambientali della Terra, lo stato di salute dei mari, predire terremoti con più efficacia, capire meglio le dinamiche climatiche e addirittura monitorare il traffico stradale o il consumo di energia. L'idea che sta alla base è un concetto ben noto agli hacker: "la conoscenza è potere". Più conosciamo il nostro pianeta, più abbiamo gli strumenti per poterlo rendere un posto vivibile, sano e prevedibile.
Entro due anni la HP prevede di iniziare a seminare smart dust su un'area di 10 km quadrati: circa 1 milione di sensori delle dimensioni di una scatola di fiammiferi saranno disseminati nei pressi di prossibili giacimenti di petrolio, in modo tale da verificare i movimenti e le vibrazioni della roccia. Di certo questi sensori somigliano poco in dimensioni a quelli immaginate da Pister, ma è il primo passo per una rete globale di sensori.
Il problema principale della smart dust è proprio la sua dimensione "dust": fino ad ora, realizzare sensori paragonabili ad un grano di polvere è stato pressochè impossibile, soprattutto se devono occuparsi di raccogliere dati di diversa natura. Sebbene la Berkeley si stia dedicando alla realizzazione di sensori dalle dimensioni di un millimetro cubo, siamo lontani forse una decade dal loro utilizzo.
Le dimensioni non sono solo un problema per la capacità di immagazzinare sensori di rilevamento, ma anche per mettere in comunicazione ogni singola particella della smart dust con le altre. Queste micro-unità infatti devono rimanere costantemente connesse le une con le altre, e per farlo devono sfruttare connessioni wireless, che richiedono trasmettitori e ricevitori incorporati nelle smart dust stesse.
Terzo problema da non trascurare è l'energia: come alimentare sensori così piccoli, in modo tale che possano ricevere ed inviare dati tra di loro ed alla sorgente di raccolta delle informazioni?
Nonostante questi problemi, la smart dust è considerata una tecnologia estremamente promettente, e che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione del pianeta Terra.
Si procede a piccoli passi, è vero, ma le prospettive future sono incoraggianti, viste le prima applicazioni pratiche. Una di queste è il "parcheggio intelligente" realizzato dalla Streetline a San Francisco: ogni parcheggio ha installato un sensore magnetico che rileva la presenza di un'auto sopra di esso, fornendo in tempo reale il numero di auto parcheggiate, i posti liberi, e se il tempo di parcheggio è scaduto. Ben presto queste statistiche saranno anche disponibili su palmari e navigatori satelitari; un minuscolo assaggio di ciò che la tecnologia smart dust potrebbe offrire se perfezionata e distribuita capillarmente su scala globale.
Ma le preoccupazioni sono molte, soprattutto dal punto di vista della privacy: chi ci assicura che questa smart dust possa monitorare solo fattori ambientali e strutturali, e non invece raccogliere dati sensibili e tracciare persone nel mondo, come un Grande Fratello su scala planetaria?
Sensori così piccoli sarebbero pressochè invisibili. "Ha un potenziale davvero enorme di invasione della privacy, perchè stiamo parlando di sensori estremamene piccoli che possono essere del tutto invisibili" dice Lee Tien, procuratore della Electronic Frontier Foundation. "Sono in numero tale che non si può fare nulla in termini di facili contromisure".
Specialmente se, come si sta progettando in alcuni centri di ricerca, si riuscirà a trasformare in particelle smart dust i nostri cellulari, rendendo miliardi di telefoni delle unità di monitoraggio globale.
Occorre quindi fermarsi nella ricerca della smart dust? Non credo. A mio parere la smart dust potrebbe costituire una rete di raccolta dati incredibilmente preziosa per capire a fondo le dinamiche del nostro pianeta, e in alcuni casi salvare vite umane. Tutto dipende da chi, come e quando verranno utilizzate queste polveri elettroniche. Non che abbia fiducia sul fatto che i nostri governanti siano delle brave persone, ma se la tecnologia rimarrà confinata all'ambiente scientifico i problemi di privacy potrebbero essere praticamente nulli, a vantaggio di una ricerca in grado di sfruttare una quantità immensa di dati preziosi.
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