Incredibili le potenzialità nascoste dentro una alchimia. Il cinema, arte collettiva per eccellenza, offre l’opportunità di assaporare i risultati organolettici di una ricetta che è sempre frutto di tanti ingredienti. Lo scambio osmotico tra chi è avanti e chi è dietro la macchina da presa, il continuo dialogare tra la parola scritta e il gesto filmico, la sinergia di tonalità e accordi tra i membri del cast. Accade, nella migliore delle ipotesi, che tutto questo generi un suono persistente, netto, acuto. Sebbene, a volte, distonico. E’ il caso di un film come “There was a crooked man” (in Italia, con qualche vaga reminiscenza alla Steinbeck, tradotto dai titolisti con “Uomini e cobra”), titolo che già nel suo statuto ontologico-linguistico evoca una specie di handicap. E’ singolare che un regista come J.L. Mankievicz si sia cimentato con un western. Ed è ancora più singolare che sia riuscito a cavarne uno dei suoi film più personali e indimenticabili. E’ singolare anche la combinazione di elementi del cast, a cominciare dai due protagonisti: Henry Fonda e Kirk Douglas. Placido, grigio e solenne l’uno. Iperattivo, fulvo e astuto il secondo. Perfetti entrambi per incarnare due maschere che al momento opportuno si scambiano lasciando intravedere in filigrana echi da commedia dell’arte. E’ il teatro la quinta ideale davanti alla quale Mankiewicz costruisce la sua raffinata messa in scena. Lo spazio chiuso e asfittico di una prigione sperduta nel deserto dell’Arizona (scene di Edward Carrere, freschissimo reduce-sopravvissuto del “Bunch” di Sam Peckinpah) diventa sfondo ideale per rappresentare una commedia da camera, imbevuta di affilata ironia, quasi integralmente al maschile (a due maturi attori di sesso maschile è riservata persino la grottesca caratterizzazione di una sorta di coppia di fatto ante-litteram) e con una sua disillusa morale di fondo: la ricerca affannosa del denaro è il vero motore dei comportamenti umani, con buona pace di ogni residuo idealismo di frontiera. Un western non-western, beckettiano ed insolito anche nella sua struttura narrativa avvoltolata su se stessa come un cane che si morde la coda, e che grazie alla vivace sceneggiatura di Robert Benton tradisce con piena consapevolezza le aspettative di spettatori a caccia di azione e pallottole facili. Nella storia universale del "Crooked Man" di Henry Fonda c'è anche parecchio altro. Esattamente dove non te lo aspetteresti.
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