Quando mi iscrissi all’Università, ero una snob tremenda.
Non tout court, ché non ho mai avuto le possibilità economiche e morali per esserlo, ma solo – solo! – per quanto riguarda il cinema.
Credo in effetti di essere stata come la maggior parte degli studenti di cinema: altezzosa, elitaria, sprezzante verso la televisione e verso le mode del momento (Colazione da Tiffany anyone?).
Una tremenda cagacazzi, ne converrete.
Ad eccezione di Beautiful, guilty pleasure che non mi toglierò mai perché è un’eredità lasciatami dalla nonna (ho mai parlato di mia nonna, splendida avellinese con il bob color mogano e le unghie laccate nei toni del rosso rubino?), snobbavo qualunque forma di intrattenimento bassa o mainstream.
Rimandiamo ad un’altra occasione la derisione per essere passata al lato oscuro del tubo catodico.
Tornando all’epoca in cui ero una ventenne o poco più che vestiva solo di nero o con improbabili capi effetto divano acquistati in Corso Palestro, ad un certo punto ho realizzato che non sarei mai divenuta la Sofia Coppola delle Prealpi piemontesi, la Maya Deren della cintura Ovest, la Kathryn Bigelow degli alpeggi: mi sono fermata, ho fatto un bel pianto, poi ho fatto una risata e ho deciso di piantarla lì.
Pochi anni dopo, a seguito di una cocente e non ancora metabolizzata mazzata morale, ho sviluppato un senso di inferiorità nei confronti della Settima Arte e ho deciso che solo la tv poteva capirmi.
E che era meglio essere la prima tra gli ultimi che l’ultima tra i primi.
Bel ragionamento del cazzo, nevvero?
Questo flashback è volto agli elitari del lo conoscevo prima che diventasse famoso, quelli che massacrano la loro band preferita perché ha firmato un contratto con una major discografica, quelli che Sofia Coppola mi piaceva prima di Marie Antoinette, e comunque i macarons li mangiavo prima che uscisse il film, e anche le Converse me le dovevo far portare da Londra perché qui non si usavano e comunque tutti mi sfottevano perché le indossavo.
Raga, rilassatevi.
A ben guardare, la cultura mainstream è divertente.
Basta avere gli strumenti per capirne i meccanismi, basta trovarne i lati piacevoli.
Solo pochi anni fa mi vergognavo ad ammettere di essere una spettatrice affezionata di The Vampire Diaries, di passare intere serate spiaggiata davanti al pc per guardare tutte le serie tv che trovavo online invece di frequentare più assiduamente le sale d’essai.
Invece ora le serie tv sono il nuovo cinema, tutti a lodarle e a straparlarne e sapete che c’è, è figo che sia così.
Più pubblico uguale più soldi uguale più qualità, e se siete scettici pensate a True Detective e ditemi se dieci anni fa una serie del genere sarebbe stata possibile.
Eppoi le serie tv ci rendono intelligenti, ci spingono a cercare riferimenti e sottintesi, aiutano con l’inglese: nella patria del doppiaggio, lo streaming online è nutrimento per il cervello.
E se per mesi abbiamo letto su tutti i social che la felicità è reale solo se condivisa, per quanto mi riguarda vale lo stesso per la conoscenza: far conoscere prodotti culturali “alti” aiuta ad elevare il livello medio dei prodotti stessi e a creare cultura attraverso un medium che ultimamente ha tutt’altri scopi.
Ciò non toglie che io guardassi le serie tv prima che le guardassero tutti. Gne gne gne.
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