Mi chiedo cosa abbia scatenato, nell’immediato secondo dopoguerra, la creatività ornitologica di certi autori sin troppo moraleggianti! Richard Bach, Saint-Exupéry, Gallico…Tutti e tre sono accomunati da quel loro incedere forzosamente semplicistico, tipo: “c’è stata la guera (con una “r”, tranquilli, non ho sbagliato, bisogna leggere con la giusta intonazione), la guera, che è na gran brutta cosa. E voi siete ancora troppo intontiti per capire le cose difficili, dunque dobbiamo spiegarvele con le favolette e i disegnini! Però state attenti che queste storielle non sono indirizzate ai bambini, ma sono cose serie, moooOooolto serie…”.
Ragionando in tal maniera capirete che la boiata è sempre dietro l’angolo. Diciamo che a Bach, a Sanit-Exupéry è andata bene (non ho detto che mi piacciono, eh!). Ma Gallico, per favore, lasciatemelo dire, la boiata l’ha centrata in pieno. Sì, va bene, non è così male quella novelletta da cui poi hanno tratto il famoso film sul Poseidon (bel film, con la colonna sonora di un giovanissimo John Williams tra l’altro, link).
Ma oggi si parla di Snow Goose: un raccontino basato sulla storia dell’amicizia che nasce tra il guardiano di un faro a Dunkerque ed un’oca delle nevi rimasta ferita. Sullo sfondo si muovono lugubri le ombre della gueraaaa e i fatterelli si intrecciano a quelli più seri inerenti alla battaglia di Dunkerque (maggio-giugno del ’40). Io non sto dicendo – e chi mi conosce lo sa – che le cose serie debbano esser trattate seriamente per forza, figuriamoci. Ma le cose serie raccontate per mezzo di cose futili ma pur sempre serie e tristi, sono delle cagate pazzesche. Una cosa è sicura, comunque, gli uccelli erano di moda.
Nel ’75, i Camel – sfortunatissima band di progressive rock che avrebbe meritato ben altro – dopo i primi due mezzi fallimenti degli album precedenti, decidono di scrivere un concept album basandolo su di una novella o qualcosa del genere. Ci avevano già provato con il solito e inflazionato Signore degli Anelli e in un primo momento avevano persino pensato a qualcosa di Herman Hesse. Poi, purtroppo per loro, ripiegarono su Gallico e la sua ochetta. Lo scrittore, appena esce l’album, pensa persino di denunciarli. Già, perché lui era un convinto oppositore del vizio del fumo (vd. foto con pipa)
(non è già antipatica una contraddizione del genere?)
e i Camel, con le loro copertine, sembrava sponsorizzassero il noto marchio sigarettarolo, molto meglio di una Lotus del 1987.
Poi la cosa fu risolta cambiando il titolo al disco, con l’apposizione di “music inspired by…” dinanzi a The Snow Goose.
Detto tutto ciò, non mi resta che parlarvi dell’album. È straordinario, sontuoso, coinvolgente, il canto del cigno del genere in questione. Non raggiunse mai la notorietà di Selling England By The Pound o di The Yes Album, non è complicato quanto qualcosa dei King Crimson e non è seminale come i primi lavori dei Caravan, ma siamo di fronte alla sintesi di tutte queste esperienze. Ovviamente il sound è assolutamente britannico e brilla di lucentezza. I suoni sono così splendidi che sembra registrato ieri. Ultima cosa, è interamente strumentale.
Nei primi tre brani introduttivi (link) si passa dall’onirico iniziale (Great Marsh) al barocchismo di Rhyader. Ma Rhyader non è solo il più bel pezzo dell’album, è anche l’emblema del sound alla Camel: l’inizio classicheggiante è l’interludio ad una inaspettata fase funky (da 3.30). La chitarra in auto-wha a far da sfondo alle fantasie del sintetizzatore ed il mitico organo elettrico. Estremamente conciso e dinamico questo, allungato e potente il successivo Rhyader Goes To Town (da 5.01). I Camel sono tecnicamente preparatissimi, non meno dei più blasonati Yes, e qui lo dimostrano con i fatti. Andy Ward, dietro le pelli, è veramente tellurico. I riff di chitarra di Latimer sono un esplicito antecedente dell’heavy metal classico (la NWOBHM) e gli Iron Maiden dovevano bazzicare in zona senz’altro (magari tra un concerto dei Thin Lizzy e un altro). Ma quello che succede da 6.08 è assolutamente geniale: psichedelia, fusion (7.30) e rimandi pinkfloydiani.
L’album prosegue poi tra momenti malinconici (Sanctuary), romantici (Snow Goose e Friendship) e rinvigorenti impennate jazzistiche (Migration, link, altro brano fortemente consigliato, e la bellissima Flight Of The Snow Goose). Altro gran pezzo è Preparation (in medley con Dunkirk): in antitesi al gioioso volo precedente, qui è facile avvertire prima l’imminenza opprimente dello scontro bellico e poi – nel movimentato finale – il bombardamento aereo. Grandiosamente pomposo, regale e immaginifico è il finale (La Princesse Perdue, link), per certi versi molto vicino a certe cose dei migliori Genesis. Questo non è solo prog, ma Arte, e i Camel non hanno nulla da invidiare a Mendelssohn. Alla prossima.
Babar da Celestropoli