Nonostante questo del ruolo del social media editor – della sua funzione e della sua reale utilità – se ne torna a parlare periodicamente. Ad esempio non molto tempo fa (fine maggio), per un articolo dove Rob Fishman di BuzzFeed dove di questa figura professionale si sentenzia la morte. Sì certo, quello di decretare la morte di qualcosa – qualunque cosa – in realtà è ormai diventato un filone (un sottogenere?) giornalistico molto prolifico. L’articolo però ha avuto il pregio di suscitare e mettere in circolo un po’ di opinioni interessanti sull’argomento.
Mathew Ingram ha fatto notare che “molti social media editor non sembrano realizzare effettivamente molto – il fatto è che tutto ciò che riguarda i social media è ormai diventato centrale per quello che la maggior parte dei mezzi di comunicazione stanno facendo, avere una persona specifica dedicata a farlo sembra un anacronismo”.
E in effetti questo ruolo professionale o è davvero capace di rinnovarsi continuamente o rischia di restare solo una delle tante etichette (social media qualcosa) da appiccicare su un biglietto da visita o un résumeé. Certo nelle testate più importanti un bel po’ di passi avanti ne sono stati fatti: dall’one-man-band che deve occuparsi di tutto quello che ruota attorno ai social media a staff organizzati e con mansioni molto più articolate. Quindi per i più oggi il questa figura professionale in realtà dovrebbe essere sempre più avere il ruolo di gestire il cambiamento tenendo il passo di una tecnologia che continuamente si evolve: chi fa informazione professionale oggi deve sempre misurarsi con nuovi strumenti e nuove piattaforme, serve quindi che queste novità sappia capirle, testarle e introdurle nel miglior modo all’interno del ciclo produttivo giornalistico. Oggi, insomma il ruolo ha bisogno anche di dare strategie e non solo di gestire i problemi quotidiani.
Il senso dell’evoluzione di questo ruolo, a mio giudizio l’ha dato Meghan Peters che a Mashable è community director (ruolo per il quale dirige uno staff di quattro persone che hanno compiti relativi anche ai media sociali) in un pezzo dove sostiene che “il nostro compito maggiore è immergerci nelle ultime tecnologie per quantificare e valutare il loro possibile valore per l’organizzazione. Funzioniamo come una sorta di centro di intelligence sociale”, perché “ci sarà sempre comunque bisogno di qualcuno che stia un passo avanti agli altri a sperimentare”. Emerging media editor è, non a caso, il nuovo ruolo assunto da qualche mese al Wall Street Journal da Liz Heron figura “storica” dell’introduzione dei media sociali nelle redazioni.
Tutto vero, però è anche da tenere di conto che fuori dal ristretto cerchio delle realtà più evolute, molto comunque resta da fare per migliorare la qualità e la pratica dell’uso dei media sociali nel lavoro quotidiano di un giornale (che sia online o su carta, ovviamente). In fondo ha ragione Daniel Victor quando sostiene che a concentrarsi sempre sul “futuro” di questo ruolo si finisce anche per essere un po’ noiosi, soprattutto se ci si avvita sempre sui massimi sistemi e non si suggerisce qualcosa di concreto:
The “future of social media editors” conversation bores me because no two social media editors have the same job http://t.co/hiWIEjFSev
— Daniel Victor (@bydanielvictor) May 29, 2013
Anche per questo è forse più utile tornare ai “fondamentali” e, al di là di tutte le belle analisi, chiedersi: cosa deve fare concretamente oggi chi si occupa di social media in una testata per essere realmente utile alla redazione? Una domanda questa – che si è posta in un belll’articolo Mandy Jenkins interactive editor (un altro termine per dire “qualcuno che si occupa di innovazione dentro la redazione”) a Digital First Media: le sue risposte mi sembrano ottime e quindi le ho tradotte (con qualche licenza, a dire il vero) perché rappresentano un buon piano di lavoro. Eccole:
Sviluppa e pianifica l’uso dei social media in tutta l’organizzazione. Aiuta i membri della redazione a integrare i media sociali in tutto il ciclo del loro lavoro e ne pianifica lo sviluppo – non limitandosi a fornire uno strumento, lasciando poi che i redattori se la sbrighino da soli, ma monitora come lo utilizzano, dà suggerimenti e li incoraggia a crescere.
Gestisce la presenza social della testata, il che non vuol dire starsene tutto il giorno a smanettare su Tweetdeck, ma essere capaci di guidare il messaggio nel suo complesso.
Sviluppa tutte le azioni possibili per incrementare l’interazione tra la redazione e le comunità di riferimento. Quindi dà suggerimenti su come i vari strumenti dai social media alla cura dei contenuti, dal crowdsourcing alle fonti UGC (user generatet content) possano adattarsi a particolari piani di copertura delle notizie. Sperimenta nuovi strumenti preoccupandosi di avere sempre dei feedback concreti basati su metriche.
Riconosce e suggerisce le situazioni dove è più saggio non usare i media sociali, perché anche questa è una mansione importante da svolgere se sei la figura professionale che incoraggia l’uso corretto dei social media.
Agisce come una sorta di operatore del servizio clienti, sia all’interno che all’esterno della redazione. Deve essere un punto di riferimento e di ascolto per tutte le questioni e i dubbi che possono nascere attorno all’utilizzo dei media sociali: dai problemi etici ai dubbi e le preoccupazioni che possono riguardare l’autenticità di fonti UGC e, in generale, su tutto ciò che riguarda le modalità per selezionare e verificare notizie provenienti dai social network.
Costruisce e/o sviluppa una strategia relativa ai social media per l’intera organizzazione, con una visione più ampia possibile che parta sì dalla redazione ma poi si estenda anche all’ufficio vendite e al commerciale, al marketing e al management. Lavora per avere una visione d’insieme su quello che i vari settori dell’organizzazione stanno facendo con i social media e pensa a come, tutte queste parti, possano essere messe insieme in maniera intelligente e proficua per tutti.
Fonti e approfondimenti:
Q&A: The evolution of the social media editor
Il social media editor è morto? (Donata Columbro su Internazionale)
I’m more than a Twitter Monkey (Zombie Journalism)