Social network e lavoro, ecco cosa dicono i dipendenti

Da B2corporate @b2corporate
Non è un caso che oggi molte società impediscano l'accesso dai computer aziendali a Facebook, Twitter e agli altri social network. Così si evitano distrazioni e dispersività, certo, ma non solo: i "luoghi di chiacchiere" virtuali potrebbero infatti diventare rapidamente una valvola di sfogo pericolosa dove manifestare la propria rabbia o frustrazione verso il luogo di lavoro. Almeno in teoria.

Già, perché a quanto pare molti dei timori delle aziende sarebbero in realtà infondati. Secondo una ricerca dell'agenzia di comunicazione Weber Shandwick, sei intervistati su dieci (da un campione di 2.300 persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni che operano in imprese con più di 500 dipendenti) si sono trovati a difendere il proprio datore di lavoro davanti a famiglia, amici o sui social network.
Solo il 16% ha scritto commenti negativi, e il 14% si è pentito di quanto postato. Una conseguenza anche dei sempre più raffinati programmi di brandizzazione e fidelizzazione dei propri dipendenti, che li porta a riconoscersi con il marchio per il quale lavorano, a patto che ci sia fiducia verso chi guida l'impresa, flussi di comunicazione interna, formazione e sviluppo e impegno nella corporate social responsability (il famoso "don't be evil" di Google).
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