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Sogno di una Notte di Mezza Estate: l’Insostenibile Leggerezza dell’Adattamento

Creato il 03 dicembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Sogno di una Notte di Mezza Estate: l’Insostenibile Leggerezza dell’Adattamento

Se dovessi costruire un podio dei geni della letteratura di tutti i tempi, non credo avrei difficoltà sul terzetto: Dante Alighieri, William Shakespeare, Samuel Beckett. Più arduo decidere il posizionamento di ciascuno; non ho dubbi, però, sul fatto che chiunque affronti questi maestri, abbia bisogno di coraggio e abnegazione e, se vogliamo, anche di un po’ di sana incoscienza creativa. Cosa c’entra questo con Sogno di una notte di mezza estate, di Fabio Grossi, che il 30 novembre ha ufficialmente inaugurato il cartellone 2012/2013 del Teatro Stabile di Catania? C’entra perché l’adattamento è potenzialmente la più ingrata delle operazioni, sia per chi lo realizza, che per chi lo “subisce”. Sia detto preliminarmente: non crediamo che il buon Bardo si stia rivoltando nella proverbiale tomba, sarebbe eccessivo. Ma il Sogno a cui abbiamo assistito, dominato dalla figura del “mattatore” Leo Gullotta, non è esente da pecche. Proviamo a spiegare quali, secondo il nostro parere. L’opera è considerata frutto della maturità di Shakespeare, scritta probabilmente negli anni immediatamente precedenti le grandi tragedie, ma inserita nel novero delle cosiddette “commedie eufuistiche”. Quattro i piani di sviluppo del testo, quattro i gruppi di personaggi: Teseo e Ippolita, Duca di Atene e Regina delle Amazzoni, in procinto di sposarsi; Lisandro, Demetrio, che si contendono Ermia, ed Elena, outsider dei sentimenti; Oberon e Titania, con relativi seguiti; un gruppo di artigiani squinternati, con la vicenda di Piramo e Tisbe come “opera da fare”.

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Diversi studiosi, tra cui vale la pena qui citare almeno Pagnini e Melchiori, hanno messo in grande evidenza la natura eminentemente composita di Sogno di una notte di mezza estate. Fonti classiche ma non solo, commistione, sincretismo, tra classicità e medioevo, allegoria rinascimentale e poema cavalleresco, la commedia è forse, fatta eccezione per La tempesta, il più “etereo” tra i testi di Shakespeare. In una imponente scenografia a forma di occhio, di Luigi Perego, si muovono, nella versione di Fabio Grossi che abbiamo visto, personaggi nella sostanza fedeli all’originale, fatta eccezione per il gruppo di artigiani, nel quale troviamo Leo Gullotta nella parte di Alfio Anfuso, detto Bottom, e Mimmo Mignemi nei panni di Pietro Squinzio. La scelta di rendere le parlate di questi rozzi utilizzando varietà regionali dell’italiano, in verità tendenti al dialetto, non convince, e dà l’impressione di appiattire, per esempio, un ottimo attore come Gullotta, non solo più che bravissimo caratterista, quasi a macchietta. Perché fargli fare la signora Leonida, quando il testo avrebbe fornito ben altre, e più alte, opportunità?

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In questo contesto, la regia non propone scossoni di sorta, limitandosi ad assecondare l’aspetto più godereccio del Sogno, rischiando però di mancare quasi del tutto la rappresentazione delle sfaccettature più problematiche; ad esempio nelle figure dei giovani innamorati, fra le quali spicca la Elena di Marina La Placa, bravissima nel regalare un personaggio di donna garbatamente isterica e triste di giustezza. Più ingessati e convenzionali invece Lisandro (Adriano Di Bella), Demetrio (Luca Iacono) ed Ermia (Liliana Lo Furno). Decisamente più riuscita la “sezione fate”: estetica vagamente BDSM, toni più cupi ed elevati allo stesso tempo. A parere di chi scrive, lo “spirito” più appropriato al testo di partenza. In definitiva, una lettura, quella di Fabio Grossi, che viaggia su binari sicuri. Spesso troppo. Non basta, infatti, un mattatore (qualche maligno direbbe: non serve) per evitare la tendenza alla medietà dei riferimenti spiccioli al presente, né lo scadere in volgarità verbali per scongiurare il fatto che la performance venga presto dimenticata.

Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Catania

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Sogno di una notte di mezza estate

di William Shakespeare

Traduzione e adattamento: Fabio Grossi e Simonetta Traversetti

Regia: Fabio Grossi – Scene e costumi: Luigi Perego – Musiche: Germano Mazzocchetti – Coreografie: Monica Codena – Luci: Franco Buzzanca

con Leo Gullotta, Mimmo Mignemi, Emanuele Vezzoli, Leonardo Marino, Fabrizio Amicucci, Ester Anzalone, Alessandro Baldinotti, Valeria Contadino, Adriano Di Bella, Salvo Disca, Antonio Fermi, Luca Iacono, Marina La Placa, Liliana Lo Furno, Fabio Maffei, Federico Mancini, Sergio Mascherpa, Irene Tetto, Massimo Arduini, Francesco A. Leone, Marzia Licciardello, Mauricio Logeri, Rachele Petrini

Produzione: Teatro Stabile di Catania

 Catania, Teatro Verga, dal 30 novembre al 16 dicembre 2012


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