Solaris (1972)

Creato il 12 luglio 2011 da Julien Davenne
Le note del "Ich Ruf Zu Dir Herr Jesus Christ (BWV639)" accompagnano i titoli di testa del film, un prologo musicale che preannuncia una preghiera solenne, quella dell'essere umano rivolta al suo creatore, da cui mai potrà avere risposta per dar pace alla sua sofferenza, alla sua infelicità, ai suoi ricordi, ai suoi traumi, alla sua solitudine cosciente, al senso della vita stessa. L'indagine della scienza cerca disperatamente risposte rivolte alla Verità, è come una scala dove ogni gradino fa apparire il successivo, ma la cima non la si raggiunge, quella scala è infinita e non può rispondere solo alla logica della stessa realtà empirica. Solaris è un'opera di coscienza, più che di fantascienza, che apre riflessioni, nuovi orizzonti e nuove dimensioni, Tarkovskij si serve dell'intimo del suo protagonista per raccontarci l'universale e il metafisico.
Lo psicologo Kris Kelvin quando arriverà sulla stazione orbitante di Solaris, sarà vittima di un strano fenomeno, rivedrà comparire Hari, sua moglie (che è morta molti anni prima), gli altri scienziati della stazione lo assicurano che non è "umana" ma è solo una proiezione materiale dei suoi ricordi e del suo inconscio provocata dal pianeta Solaris. La proiezione di Hari però acquisterà sempre più un'autonomia e svilupperà sensazioni ed emozioni e comincerà a porsi domande sul suo oscuro passato, Kris Kelvin spaventato tenterà di allontanarla mandandola via con una capsula, ma la donna ritornerà sanguinante e viva, rivelando la sua immortalità e il suo bisogno di essere amata e protetta da suo marito.
Ma quando la donna saprà la verità, anche la sofferenza del passato che non fa parte della sua esperienza vissuta la tormenta, e così tenterà il suicidio per poi risorgere. Il dramma si allaccia alla visione umana e alla visione della sua stessa proiezione, Tarkovskij dirige in maniera claustrofobica le scene interne, con un ritmo lento, ma ossessionante, ricco di ansie interne prediligendo i silenzi alle parole.

La scena della levitazione nella stazione per assenza di gravità, è l'unico momento cinematografico in cui le cose non hanno più peso fisico e psichico, Hari e Kris si abbracciano delicatamente e sospesi nell'aria quasi danzano, accompagnati dal tema di Bach che nuovamente si ripete. Sono circondati nella stanza dai quadri fiamminghi di Bruegel che ritraggono i paesaggi terrestri, ormai troppo lontani, guardati dalla mdp con uno sguardo malinconico e mistico; uno dei dipinti ritrae un paesaggio innevato di bianco che rimembra l'infanzia passata di Kris. E' una delle sequenze più liriche e struggenti della storia del cinema, che esprime l'inesorabile solitudine umana e l'impossibilità di superare i tormenti e gli interrogativi dell'anima anche nella ricerca infinita spaziale dell'universo. Il primordiale è dentro di noi, la morte fa parte della fatalità della natura, l'uomo di fronte al mistero della vita è inerme.
Quando gli altri scienziati riusciranno a capire come liberarsi degli "ospiti", Hari si sottoporrà all'annichilamento all'insaputa di Kris. La solitudine del protagonista pregherà per un nuovo crudele miracolo, una preghierà che verrà esaudita da Solaris: creerà una piccola isola in cui Kris ritroverà la sua casa e incontrerà suo padre, mentre l'acqua (elemento sempre presente nel linguaggio poetico di Tarkovskij) cadrà dal soffito dell'abitazione vaporando a contatto del corpo del padre, come una comunicazione sensitiva ed emozionale rivolta alle nostre origini, e allo stesso tempo, come un'appagamento, perchè l'acqua è un liquido che "riempie" i vuoti, anche quelli dell'anima.

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