Certo, finalmente da un paio di giorni è uscito il sole, ma è un sole velenoso, condito con un aria gelida e graffiante, un momento di tregua malata prima che il cielo si ricopra e si oscuri, prodromo della notte livida che potrebbe non finire mai, un inferno ghiacciato postnucleare che surgela (non spegne, né uccide certamente) anche i livori e gli odi degli uomini che gli sopravviveranno, in attesa di dar loro nuovo vigore. Unghie gelate che fremono sul tuo viso mediterraneo prima di lasciare i rossi segni sofferenti, propri degli ambienti ostili e che ti annullano la voglia di uscire e ti spingono solo a cercare un riparo caldo sotto coperte pesanti e morbide come un grembo accogliente. Dalla finestra nel chiarore innaturale, quasi fastidioso per gli occhi cisposi di una nottata difficile, si vedono solo fumi verdastri che anneriscono l'orizzonte di polveri velenose. Mi par di essere a Ufa, nel pallido sole invernale degli Urali avvolto dai vapori senza odore del fenolo che ammorbava l'aria velenosa e che avvertivi solo quando i rossori sulla pelle non manifestavano pudore ma soltanto prurito. Voglio lasciarvi dunque con il solito Haiku meditativo, che mi sembra appropriato alla situazione.
Vento gelato.La foglia ormai cadutanon ha più freddo.
Non vorrei sembravi esageratamente crepuscolare e gotico e non è che non me ne vada mai bene una, ma sono un metereopata e come se non bastasse, ieri, nel dare aria alla camera da letto, mi sono dimenticato le finestre aperte fino al momento in cui sono andato a dormire verso mezzanotte, quando la temperatura ambiente, a termosifoni ormai spenti, era ormai scesa sotto lo zero. Notte di tregenda, vado a farmi una doccia bollente per rasserenarmi. A domani.
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