- Gli occhi di Maya.
E’ costume dei poeti chiedere cento voci, cento bocche, e desiderare cento lingue per i loro versi, si tratti di un dramma che reciti a bocca aperta il tragedo atteggiato a cordoglio, o delle ferite di un parto che si svelle il ferro dell’inguine. A che miri con ciò? Che bocconi di robusta poesia ingurgiti, perché ti servano cento gole? I magniloquenti raccolgano nebbie sull’Elicona, se c’è ancora qualcuno per cui dovrà bollire la pentola di Progne o quella di Tieste, vivanda frequente di quell’insulso Glicone. Ma tu non comprimi l’aria con l’ansante mantice mentre il metallo fonde sul fuoco, né brontoli cupo gracchiando fra te e te non so che cosa di solenne, né tendi le gote rigonfie sino a farle scoppiare. Usi le parole comuni, esperto nei costrutti energici, nell’eleganza misurata, nello strigliare i vizi spettrali e trafiggere la colpa con libero gioco. Trai da qui il tuo dire, lascia a Micene le sue mense di teste e piedi, attieniti ai pasti plebei. La legge di natura, comune a tutti gli uomini, ingiunge l’ignoranza che non può nulla, osservi almeno i divieti. Se diluisci l’elleboro, non sai fermare al punto giusto l’ago della bilancia: te lo vieta l’arte medica. (Meditazione sulla satira V di Persio).
Sì suave è l’inganno
Al fin condotto imaginato e caro,
Ch’altrui spoglia d’affanno,
E dolce face ogni gustato amaro,
O rimedio alto e raro,
Tu mostri il dritto calle all’alme erranti;
Tu, col tuo gran valore,
Nel far beato altrui, fai ricco Amore;
Tu vinci, sol co’ tuoi consigli santi,
Pietre, veneni e incanti.
-Niccolò Machiavelli-
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