Sapevo, io, che leggere articoli impegnativi la mattina è controproducente, tanto da farmi dimenticare il pranzo a casa e rendermene conto nel momento esatto in cui salgo con un piede dentro all’autobus che mi porta a Venezia. L’articolo incriminato è un magnifico testo ricco di domande, firmato Bagni dal Mondo, blog di Simona, che mi ha fatto fermare un attimo a pensare, o meglio, a mettermi nella condizione di affrontare domande che mi ero posta ma alle quali ho preferito non rispondere immediatamente.
Non credo che il paranoico soliloquio di una blogger possa interessare a qualcuno di voi, ma sarò schietta: il blog è mio e se permettete ci scrivo un po’ quello che voglio.
Scrivere e viaggiare sono due cose che amo fare da quando ho scoperto di poterle/saperle fare, che poi le due passioni si siano unite in questo blog è solo una casualità, ma di fatto, ora è così e ci devo fare i conti. Se già la mia vita da travel blogger sia decisamente più semplice di altre, rimane comunque un impegno (quasi) a tempo pieno. La notte scrivo fino alle 2, il giorno monitoro i social, un po’ mi devo tenere informata riguardo il mondo di internet e i suoi cambiamenti repentini, un po’ leggo i post di blogger che apprezzo e nel tempo che resta dovrei lavorare e magari anche vivere un po’.
Come Simona si domandava nel suo post, mi domando anche io se questa vita così attaccata al web non stia diventando opprimente, per quanto piacevole, se tutto questo farsi i cazzi degli altri porti effettivamente a rinchiuderci sempre di più nel nostro guscio.
Io parlo spesso di etica, sapete che difendo a spada tratta il contenuto di qualità e condanno a morte le marchette, i post scritti con il solo scopo di vendere qualcosa o con link forvianti che portano a siti che c’entrano poco con il contenuto – “tanto mi pagano” per cui freghiamocene di dare un’informazione decente e utile al lettore e pensiamo a farci due soldi in più in tasca – e, purtroppo, sono arrivata a pormi una domanda non troppo felice per chi scrive di viaggi: viaggiamo perchè amiamo veramente farlo o perchè poi possiamo scriverne?
Io me lo sono chiesta, perchè, alle volte, quello che fai ti assorbe talmente tanto che rischi di confondere le cose, di non vederle lucidamente come prima, prima di entrare in un mondo che ti ha avvolto tra le sue braccia e che, se prima ti sembrava un abbraccio, adesso hai quasi la sensazione sia una morsa.
Prenoti un biglietto aereo e scatta il post pre-partenza, ma se veramente stiamo scrivendo per i nostri lettori perché dovrebbero leggere cosa ci aspettiamo da un viaggio che dobbiamo ancora vivere? La mia non è polemica, è una domanda.
C’è chi durante una vacanza scrive lo stesso, ma non esiste più il concetto di “godersi la vacanza?” e poi, Wordsworth non diceva che le “emotions recollected in tranquillity” sono le più vere e forti? Aspettare costa davvero così tanto?
Questa pressione per il tutto e subito che abbiamo in questi anni è una prigione invisibile, una lancetta che segna l’attimo che passa, una spada di Damocle invisibile che ci pende costantemente sulla testa, perché di fatto siamo noi che vogliamo vederla, ma in realtà non esiste.
Si parte per il viaggio e la ricerca di una connessione wifi diventa di primaria importanza, non tanto per riuscire a orientarci tramite Google Maps in una città di cui non conosciamo nulla, ma perchè così riusciamo ad aggiornare la pagina Facebook con le foto di dove siamo, cosa facciamo, con chi siamo, quante volte mangiamo, dove dormiamo ecc. E la prima a farlo sono io.
Sono convinta che tra qualche anno nascerà una serie di nuove sindromi dovute all’utilizzo compulsivo dei social network, se già non esiste, e non mi stupirei dell’eventuale costituzione di un circolo nominato “i blogger anonimi” dove ammettere di stare distanti dai dati di Analyitics per più di un giorno sarà già un traguardo.
Ma proprio a causa di questa estrema voglia di dover far sapere al mondo quello che facciamo , quello che pensiamo – notare che io sono qui a scrivere il soliloquio di una blogger e a renderlo pubblico, forse potrei risultare un attimo contraddittoria – quello che viviamo, si rischia di perdere un po’ il senso generale delle cose.
Il 99% dei blogger va a fare i così detti blogtour, una specie di viaggi stampa per blogger, e poi ne scrive citando chi di dovere, e questo lo vogliamo veramente definire viaggio? Bah, è per quello che io ho deciso di non farne. Il viaggio è qualcosa che ancora possiamo costruirci da soli, la scelta della destinazione è pensata, desiderata, sognata perchè dovrei farmela imporre? Per mettere un bandierina in più sul mio mappamondo virtuale?
Chi viaggia perchè mantiene viva la passione lo si percepisce da come scrive, chi lo fa perchè ormai è diventata la naturale conseguenza dello scrivere dovrebbe smettere, per lo meno fino a che le priorità non vengano ristabilite.
Una vita senza viaggiare è una vita sprecata, senza dubbio, ma stiamo veramente viaggiando per noi o lo stiamo facendo per chi poi andrà a leggere i nostri post?