Solo dio perdona
Creato il 05 giugno 2013 da Veripaccheri
Solo Dio perdona
di Nicolas Winding Refn
con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas
Francia, Danimarca
genere, drammatico
durata, 90
“Sto andando ad incontrare il Diavolo” dice Billy a Julian, il fratello
che lo aiuta a gestire una palestra di Thai box a Bangkok, città dove si
sono rifugiati per ragioni poco chiare. Un incipit secco, quasi muto,
che alla maniera dell’ultimo Sorrentino raggruma in poche sequenze il
significato di una vicenda che sbriciola in un baleno la sua parvenza di
realtà precipitando nella rappresentazione di una messa funebre
popolata di personaggi già morti, condannati in partenza da un film che
mette in primo piano la morte ed i suoi accoliti. Per officiare la
funzione Nicolas Winding Refn sceglie ancora una volta un personaggio
senza volto ne mistero. Julian, interpretato da un attonito Ryan
Gosling, sempre più attore di riferimento di un cinema che ha smesso di
raccontare in senso classico, si colloca sulle stesse frequenze emotive
dello Stunt man che sfrecciava per le strade di Los Angeles. Un uomo
consumato da un passato senza storia, e con una psicolgia spendibile
solo sul piano della motivazione omicida che qui come li caratterizza i
segni di una vitalità che si manifesta, e non per caso, in coincidenza
delle uccisioni di cui Julian è sempre parte in causa. A contendergli il
primato in termini di sangue è un funzionario di polizia, figura
altrettanto rarefatta, risolta con pochi tocchi – l’ascendente
carismatico verso buoni e cattivi ed un senso di giustizia super partes -
che pongono la sua azione punitiva in una dimensione di cupio dissolvi,
sparso a piene mani sull’insieme dei personaggi, tutti, nessuno
escluso, macchiati da un peccato originale, e per questo votati
all’autodistruzione.
Refn lavora su figure e situazioni archetipiche: dalla madre (Kristin
Scott Thomas, irriconoscibile) dei due fratelli, una Eva castratrice e
mascolina, artefice di tutti i mali a cominciare dalla dimensione
edipica a cui informa i rapporti filiali, a Julian, vittima sacrificale
disposta a tutto pur di ottenere un briciolo d’affetto, e senza
dimenticare il crudele Punitore, che Refn, allentando ulteriormente i
legami con il mondo terreno, rappresenta come una sorta di riverbero
dell'inconscio di Julian; proiezione mentale delle paure e dei sensi di
colpa che il rapporto con la madre prima, ed la morte del fratello gli
hanno provocato, e che ora, attraverso il piano letale messo a punto dal
temibile antagonista, vengono a riscuotere il conto. Per non parlare
del sentimento di vendetta che pervade ogni centimetro della vicenda,
mediante il quale Refn elabora le scene più dinamiche della storia, con
apparizioni, inseguimenti e sparatorie che interrompono i lunghi momenti
di stasi, in cui “Solo Dio perdona” sembra implodere in un crogiolo di
varia afflizione.
Insieme a “Bronson” (2008) e “Drive”(2011) “Solo Dio perdona” dimostra
la capacità di Refn di adattare la sua poetica (girare è un atto di
violenza)a generi e culture. Così dopo il biopic sul carcerato più
famoso d’Inghilterra, girato nella terra d’Albione e realizzato
adottando le forme di una teatralità ed il sarcasmo che potrebbero
appartenere ad un allestimento drammaturgico di Marlowe, la crime story
losangelina sul destino di un Cavaliere moderno, chiamato a tener fede
ad un galateo che non prevede alternative, in cui il regista metteva in
scena non solo luoghi e circostanze di tanta letteratura noir, ma anche
un modo di raccontare, che pur con le debite differenze, teneva conto
della continuità narrativa e della scorrevolezza degli omologhi modelli
americani, Refn chiude il cerchio trasferendosi in Tailandia e
realizzando “Solo Dio perdona”, sintesi di una commistione che
analogamente alle esperienze precedenti mette a sistema mainstream
indigeno e visione personale. In questa modo il gusto per i tempi
dilatati, gli sguardi che si perdono nel vuoto, la mancanza endemica di
parole e le pulsioni sfogate con incontinente ferocia si sposano alla
perfezione con l’hip hop degli action movie orientali,
replicati negli sguardi ieratici dei poliziotti e dei malavitosi
locali, nel loro modo naif di disporsi all'interno dello spazio scenico,
così come nei tipici inserti musicali, utilizzati come intervallo
narrativo ed alleggerimento emotivo, e qui monopolizzati
dall'antagonista di Julian, pronto ad esibire sorprendenti abilità
canoLacerato da pulsioni omoerotiche,
"Solo Dio perdona"è un film di, e per soli uomini. Refn ci mette dentro
Shakespeare, Lynch, gli spaghetti western e l'idea radicale che le
immagini insiema ai suoni ed ai colori siano l'unica sceneggiatura
possibile. Alcune volte funziona, come nelle scene all'interno della
casa/palestra, vero e proprio labirinto mentale in cui tra incubi e
presagi prende vita l'angoscia di Julian, oppure nella capacità di
rafforzare la peculiarità dei caratteri centellinandone le apparizione,
come avviene per la perfida madre, forse il personaggio più riuscito del
film, interpretata da Kristin Scott Thomas con un piglio che sembra
rispolverare in chiave moderna il personaggio di Crudelia Demonde. In
altri casi l'ammirazione è puramente estetica, con il cuore che langue
per eccesso di freddezza. Nel caos del mondo creato da Winding Refn non
c'è spazio per il rumore dell'anima. Anche le mani recise da un colpo di
katana non producono grida ma solo decibel e note musicali.
Potrebbero interessarti anche :