C’è un tempo profano che vede materialmente il passato, il presente e il futuro su una singola linea retta con una direzione fissa e un verso definito e immutabile. Su questa linea la storia è soltanto un mero susseguirsi di avvenimenti, di cause e di effetti, di nascite e di morti. Qui il destino materiale di ogni essere umano è segnato, la sua origine è netta e la sua fine è certa, nel solco di un’evoluzione dell’umanità che forse oggi appare essere stata soltanto tecnologica.
Ma esiste anche il tempo sacro, che è da celebrare come tempo mitologico, simbolico, liturgico, ciclico, come tempo dell’Anima e dello Spirito, come successione di momenti solenni da vivere in comunione di sensibilità, di intenti e di cognizioni. Il tempo sacro si muove a spirale in successivi archi che toccano i punti di circonferenze crescenti in modo aureo: cerchi di consapevolezza sempre più ampi, in cui tutto può sembrare uguale e tutto è sempre diverso, in cui le esperienze passate sono, ad ogni passaggio, incluse e rivalutate come gradi di consapevolezza sempre maggiori.
Come quando si sale sulla scala a chiocciola di un’alta torre il nostro orizzonte si amplia ogni volta che ci affacciamo ad una finestra, eppure mantiene, conserva e include la visione precedente integrandola con nuovi spazi circolari di raggio sempre maggiore; così le feste annuali del Calendario Sacro propongono, anno dopo anno, esperienze di diversa intensità e profondità, e particolarmente le celebrazioni dei Solstizi estivi suggeriscono visioni ogni volta più allargate dell’infinito spazio, che stavolta è interiore, strappando, con la luce del Sole zenitale del Tropico del Cancro, porzioni sempre più grandi all’immensa oscurità che vi regnava.
Per questo il tempo profano appare statico nella fotografia del presente sempre in bilico tra i fraintesi concetti di “bene” e di “male”, mentre il tempo sacro è dinamico e apre il sentiero del divenire finalizzato alla gnosi e alla piena coscienza di sé. Passare dal tempo profano al tempo sacro significa portare la luce della conoscenza e della consapevolezza dove di norma regna il buio dell’ignoranza.
La Ruota dei Tarocchi
La Ruota dei Tarocchi dà un’interpretazione iconografica a due dimensioni del tempo sacro convincente dal punto di vista simbolico, essendo anche un’immagine, con i propri raggi, della divisione dell’anno in otto parti, ovvero della sua quadripartizione in Equinozi e Solstizi. Il Calendario Sacro annuale, infatti, può essere rappresentato come una ruota che gira incessantemente riproponendo in eterno la successione delle stagioni: il letargo, la rinascita, la massima fioritura e il declino della natura in sintonia con le fasi astronomiche solari dovute all’inclinazione dell’asse terrestre ed al moto di rivoluzione.
Perché anche nella Vita c’è un tempo profano e c’è un tempo sacro.
Fra i personaggi che vediamo sulla Ruota dei Tarocchi spesso è raffigurata una scimmia che precipita verso il basso, simbolo della mente sempre perturbata dall’incessante flusso dei pensieri. Spesso c’è anche un inconsapevole asino che sale e presto muterà la sua condizione diventando essere umano; così come farà il burattino Pinocchio, non a caso legato alla ruota di un pozzo, e come farà L’asino d’oro di Apuleio, mangiando le rose sacre di Iside. In entrambe le favole alchemiche che si svolgono nel tempo sacro una Dea avrà il compito di guidare il protagonista verso la trasformazione evolutiva: un essere femminile amorevole, magico e superiore, una fata, ovvero una divinità, che assolve il compito che ebbe Beatrice nel Paradiso di Dante, ormai prossimo alla sua realizzazione di Uomo.
Tradizionalmente il decimo Arcano Maggiore dei Tarocchi viene chiamato Ruota della Fortuna, nell’ottica popolare di una sorte casuale e crudele che dà e toglie a ciascuno con casualità estrema. “O Fortuna, velut Luna…” si cantava nei Carmina Burana, pensando alla similitudine della Ruota che gira con l’astro notturno che cresce e decresce con misteriosi ritmi propri, dando e togliendo luce alla terra. Ma di tale luce lunare è il Sole la fonte primaria, e, come ricorda il già rammentato Alighieri nella Divina Commedia, non è giammai il cosiddetto “caso” a muovere il sole e le altre stelle, bensì una forza certamente non casuale chiamata “Amore”.
Quindi conoscere e celebrare le fasi cicliche della luce solare significa comprendere ed essere partecipi dell’Amore e della Vita, significa essere consapevoli del proprio ruolo e scegliere di vivere nel tempo sacro.
Vivere nel Tempo Sacro
Nel remoto passato forse era più facile per l’uomo, partecipe dei cicli naturali e cosmici, vivere nel tempo sacro. Ancora vivi nella memoria erano i ricordi degli antichi Dei che i poeti cantavano sulle rive del Nilo, il quale periodicamente fecondava la terra rendendola fertile. Quando le verdi piante maturavano e poi sfiorivano sulle rive del sacro fiume, per tutti era chiaro che presto il Sole ardente avrebbe richiamato il deserto e che quindi le acque alluvionali avrebbero nuovamente portato la vita alle sterili terre in un ciclo annuale ininterrotto. Gli antichi abitanti della Valle del Nilo spontaneamente vivevano nel tempo sacro, ne erano consapevoli protagonisti preservandone i ritmi con le loro celebrazioni, e ne seguivano le leggi con naturalezza, perché essi conoscevano le origini del tempo, e ben sapevano che anche allora esistevano un tempo profano e un tempo sacro.
Prima dell’inizio della Ruota del Tempo su tutta la terra regnava Gheb, con i suoi quattro figli: Osiride, Seth, Iside e Nefti. Osiride sposò la sorella Iside, e così fece Seth con Nefti, dopo di che si divisero il dominio del mondo. Quando l’odio e la gelosia di Seth lo spinsero a uccidere il fratello Osiride e a disperderne le membra in tutto il mondo perché non ci fossero esequie, ci fu un lunghissimo e oscuro “inverno”, durante il quale l’unica speranza dell’umanità fu affidata alla vedova Iside. La sua paziente ricerca le permise di riunire in una bara di legno dodici parti del corpo dell’amato sposo. La tredicesima ed ultima parte fu un fallo artificiale che consentì ancora una volta le nozze sacre fra i due Dei figli di Gheb. Iside giacque con il corpo così ricomposto di Osiride, e da quella ierogamia nacque Horus, il Dio Falco, Signore del Sole del Basso e dell’Alto Egitto, partorito di nascosto nelle paludi del delta per sfuggire all’assassino Seth. Iside fece crescere il figlio in segreto, finché lo stesso non fu in grado di sfidare l’usurpatore del regno di Osiride.
Il Sole Horus prevale sull’avversario ogni dì quando sorge, e prevale ogni anno, al Solstizio d’Estate. Ogni anno al Solstizio d’Estate il dramma sacro si ripete, affinché nessuno dimentichi il proprio dovere, né si abbandoni all’ignoranza e alla disperazione vedendo il Sole declinare da oggi in poi. Perché anche questo fenomeno può essere interpretato diversamente nel tempo profano e nel tempo sacro.
I fuochi purificatori di San Giovanni Battista, che si festeggia pochi giorni dopo il Solstizio, possono farci dimenticare i conflitti dell’anno trascorso, con le inevitabili vittorie e le sconfitte, proprio nel momento del massimo trionfo del Sole Horus. Dimentichiamo i progressi come le pause sul Sentiero, perché nessuno potrà mai toglierci il frutto del nostro procedere sul cammino della consapevolezza dopo che questo stesso frutto è stato offerto con amore. L’Amore ravviva il Sole e ne è ravvivato: è ravvivato e ravvivante, è l’alimento delle fiamme sacre e il loro prodotto di luce e calore, è sia figlio sia padre del Sole solstiziale.
In questa chiave di lettura il dualismo cosmico che vede in perenne conflitto la Luce e le Tenebre ha un senso soltanto nel tempo sacro. E soltanto qui ed ora può essere risolto, apprendendo dal passato, vivendo il presente, creando il futuro.
C’è un tempo profano e c’è un tempo sacro.
Nel tempo profano nel Solstizio semplicemente si riconosce solo l’inizio dell’Estate.
Nel tempo sacro al Solstizio si celebra la fine di un proficuo lavoro annuale e se ne dona il frutto: l’Amore.
Nel tempo sacro, anche se può sembrare un paradosso, il culmine dell’Inverno vede l’inizio della crescita della luce solare, così come il raggiungimento del suo massimo nel Solstizio d’Estate rappresenta il suo trionfo e contemporaneamente l’inizio del suo declino. Si celebra oggi la fine del ciclo della luce, non il suo inizio, in attesa della rinascita al prossimo Solstizio d’Inverno: San Giovanni Evangelista, vera festa della Luce nel ciclo del tempo sacro.