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Soltanto il cielo non ha confini. Sull’ultimo romanzo di Guido Mattioni

Creato il 21 giugno 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
 mattioni_soltanto_cielo_hrdi Ivana Vaccaroni. Guido Mattioni è un giornalista prestato alla scrittura o uno scrittore che per molti anni è stato un attento giornalista? Entrambe le cose e i due romanzi scritti in poco meno di un anno confermano il suo”multiforme ingegno”.
Nato a Udine e”prestato” a Milano alla corte nientemeno che di Indro Montanelli, ha percorso tutto il cursus honorum della carriera giornalistica: da cronista a caporedattore, da vicedirettore a inviato speciale ha macinato migliaia di chilometri e assistito a situazioni difficili, pericolose ma nello stesso tempo utili sia dal punto di vista professionale ma anche e soprattutto umano.

Dopo il notevole successo di “Ascoltavo le maree” del 2013, giunto in pochissimo tempo alla quarta ristampa, ora si è ripresentato con “Soltanto il cielo non ha confini”. Due romanzi assolutamente diversi ma accomunati nell’ambientazione, l’America, quell’America così cara all’autore per motivi prevalentemente personali oltre che di lavoro, della quale ha visitato ben trentasette stati.

La copertina già ci dice molto, a saperla leggere…quel cielo che non ha confini riempie quasi tutto lo spazio ma ciò che la delimita, alla base, è una muraglia, come direbbe Montale, e non un definito e limitato muro, fatta di lastre di metallo e non di cemento. Ciò per rendere la fuga da uno stato all’altro ancora più impossibile e meno attuabile. Il cielo e la terra, dunque: la terra che si vuole abbandonare, con i suoi ricchi campi di fagioli ma con poco altro per cui rimanerne ancorati e il cielo, quell’immensa aia azzurra di pascoliana memoria e il suo pigolio di stelle…!

Mattioni racconta esperienze vissute in prima persona, da cronista, quando gli fu concesso di percorrere i 1400 chilometri che costeggiano il Rio Grande, fiume che fa da confine tra Messico e Stati Uniti, tra la povertà e la ricchezza, tra clandestinità e legalità. Qui ogni giorno, o meglio ogni notte si combatte una guerra spietata, la guerra della sopravvivenza, la guerra della vita che, spesso, paradossalmente sa di tutt’altro e cioè di tragedia e di morte. C’è una vera e propria lotta impari in questa parte di mondo, con un lungo elenco di cadaveri e con la corruzione espressa ai massimi livelli: in ambito politico, dove rappresentanti della legge sono passati dalla parte dei narcotrafficanti, dove la droga costituisce una risorsa fondamentale e la vita, in questo scenario così desolante, vale poco o nulla ed è soltanto motivo di scambio e di illecito arricchimento per chi offre un sogno a carissimo prezzo.

I protagonisti sono due gemelli messicani, Diego e Hernando, che hanno attraversato il confine l’uno all’insaputa dell’altro e prendono strade opposte, divenendo espressione di Male Assoluto e Bene Sperato. Ciò che sembra scontato non lo è per nulla: è comprensibile la scelta di scappare, di aspirare a una vita di benessere e tranquillità, ma è altrettanto inevitabile cadere vittima di un destino di illegalità scritto e segnato.

E l’autore ha avuto modo di vivere tale esperienza in prima persona quando, grazie a un borsa di studio del governo americano, fu mandato negli Stati Uniti per conoscere più a fondo ciò che accadeva ogni notte sul quel confine e descriverlo. Reclutato da una pattuglia di guardie americane, con gli occhiali infrarossi assistette a scene inimmaginabili, violente e tristissime. Tale fenomeno da noi era ancora sconosciuto, poiché i primi sbarchi clandestini si verificarono a partire dal 1991, mentre qui si parla del 1986.

Il libro si muove su più piani e ha tre tempi verbali: il passato, quale epoca in cui Mattioni ha percorso quelle strade e quelle vicende, il presente che è la vita che ha dato a tutto ciò attraverso il suo libro e il futuro, cioè la diffusione del romanzo, cosa che lui per primo si augura ma di cui tutti noi lettori siamo certi.

Lo scrittore friulano ormai americano d’adozione, è stato già paragonato a Roberto Bolano e Don Winslow , a un Hemingway che ha letto Mc Carthy, ma ha delle caratteristiche tutte sue che lo rendono una giovane promessa: uno stile fatto di leggerezza, di cose dette quasi in punta di piedi, di un’autenticità reale ma espressa sottovoce, bussando per farsi aprire e senza mai alzare la voce né sbattere la porta. Estremamente originale, non omologabile a nessun altro, è un gentiluomo dal sapore antico ma di taglio moderno, dallo sguardo attento e vivo.

Featured image, cover.


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