Federica Fanuli, 31 anni, si laurea con 110 e Lode in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, presso l’Università del Salento, con una tesi in Relazioni Internazionali in cui analizza i pilastri della politica estera di Ahmadinejad, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005 al 3 agosto 2013: la questione ebraica e la questione nucleare. Procede i suoi studi universitari a Lecce e consegue la Laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali, con 110 e Lode, scrivendo una tesi, in Storia dei Trattati e della Politica internazionale, sull’Amministrazione Nixon e le relazioni indo-pakistane. Nei primi anni ’70, la terza guerra tra India e Pakistan fa da sfondo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, grazie all’abilità politica del binomio Nixon-Kissinger di sfruttare i legami con Islamabad. Aspirante analista di politica internazionale, collabora dal 2009, come contributor settore mediorientale, con il Centro Studi Internazionali e, co.co.pro. dal 2009 al 2013, Federica ha lavorato presso una società che offre consulenza tecnica alla regione Puglia per il Programma di Sviluppo Rurale. Al momento studia per il Dottorato di ricerca in Storia moderna e contemporanea.
A bordo di skiff, piccole e rapide imbarcazioni, i pirati somali infestano le acque dell’Oceano indiano, minacciano la navigazione, le rotte e il commercio internazionale. Assalti, dirottamenti, riscatti, flussi di denaro, investito nel mercato nero, costituiscono le redditizie attività della pirateria che la comunità internazionale tenta, con risultati alterni, di combattere.
La pirateria è un fenomeno che ha origini antiche, radicate nella storia della Somalia. Di natura politica ed economica le cause. La miseria, la povertà, l’assenza di solide basi istituzionali hanno favorito l’evoluzione del brigantaggio marittimo. Per giunta, la Somalia occupa nel Golfo di Aden una posizione geografica strategica, che ha alimentato la pirateria. Solo in epoca coloniale, nella Somalia italiana, nel Somiland inglese e nell’area soggetta a dominazione francese, la pirateria fu quasi definitivamente sconfitta dalla marina britannica[i]. Nel 1991, dopo anni di guerra civile, la caduta del governo di Siad Barre getta il paese nell’anarchia, una confusa e pericolosa situazione interna che spinge pescatori, ex-miliziani e giovani, che non dispongono di mezzi di sostentamento legali, a riprendere le attività di pirateria. Mercenari a servizio dei signori della guerra, dei capi clan che si contendono il potere al governo centrale di Mogadiscio, compiono rapine e raramente sequestri[ii]. Durante la prima fase della guerra in Afghanistan, talebani ed ex-combattenti di Al-Qaeda raggiungono la Somalia per cercare di crearvi strutture di potere e allacciare legami con le Corti islamiche, che hanno esteso la loro autorità fino al Puntland[iii]. Questa regione a nord-est della Somalia è fucina di pirati e, paradossalmente, sede del Puntland Marittime Police Force, che lotta contro la pirateria. L’impegno delle forze del Puntland spingono i predatori del mare verso il sud della Somalia, nel Galmugud, ma non riescono a contenerne la preparazione[iv]. Il livello di formazione è alto, le tecniche messe in atto si perfezionano, i mezzi di trasporto sono sempre più moderni e le armi sofisticate, tanto da consentire alle bande di estendere il raggio di azione e specializzarsi nelle operazioni di sequestro delle navi[v]. Il fenomeno raggiunge la massima pericolosità nel biennio 2009-2010. La debole governance della Somalia non dispone di adeguati strumenti politici e giuridici, per attuare misure di controllo sulla fascia costiera. La pirateria si è trasformata da semplice manovalanza a macchina imprenditoriale, alla guida di un business molto vantaggioso. Le operazioni di sequestro-riscatto si svolgono in fasi diverse e ogni fase è gestita da differenti figure, che occupano vari livelli nella scala gerarchica della pirateria. I foot-pirates conducono le attività di abbordaggio e dirottamento della nave, in cambio di un compenso che oscilla tra i 30.000 e il 75.000 dollari. Non va sottovalutato il ruolo della comunità locale, che fornisce ai pirati beni, servizi e droga. Le trattative di dissequestro e pagamento del riscatto sono segretamente gestite dall’Interpreter, l’intermediario che conosce il meccanismo delle assicurazioni marittime[vi]. Il mediatore d’affari fa affidamento su negoziatori, che trattano con le compagnie assicurative e gli studi legali, e avanza una richiesta di riscatto molto elevata, che gradualmente si riduce. Il riscatto è versato dall’armatore, mentre le assicurazioni, che garantiscono la nave e il carico, lo rimborsano proporzionalmente al valore dei beni assicurati[vii]. In questa fase, entrano in gioco le organizzazioni criminali che ripuliscono il denaro sporco tramite società che hanno sede dentro e fuori la Somalia, in Kenya e negli Emirati Arabi. The Money King-pins, il pirata-finanziere, riceve buona parte del guadagno e lo investe in imprese e attività criminali, come il riciclaggio, droga, armi, rifiuti tossici e persino nel settore pubblico dei trasporti[viii]. Milioni di dollari circolano nelle arterie della globalizzazione con effetti negativi sull’economia mondiale, perché l’assenza di sistemi antiriciclaggio e di lotta contro il finanziamento del terrorismo internazionale consentono ad attori non statali di attingere alle risorse finanziarie degli Stati colpiti. La pirateria è un affare molto vantaggioso, ma di cui non si può dire abbia un profilo terroristico. Non ci sono prove e non è facile, soprattutto, dimostrare un possibile accostamento dei pirati agli integralisti islamici di Al-Shabaab, piuttosto, una contrapposizione per il dominio sul territorio somalo[ix]. Il ridimensionamento del fenomeno dovuto agli sforzi internazionali e a una maggiore sicurezza sulle navi, sebbene non si possa escludere, fa ben sperare che non si verifichi una temuta affiliazione tra i due gruppi. La parabola discendente della criminalità del mare può essere concessa all’impegno del neo-eletto Presidente Hassan Sheikh Mohamud di assicurare stabilità alla Repubblica somala, dopo il fallimento del governo di transizione, e attuare un sistema di protezione delle zone marittime nazionali; ma, un fenomeno di questa portata non poteva non suscitare la dura reazione delle istituzioni internazionali. La Nato ha lanciato l’operazione Allied Protector e la Task Force Ocean Shield. L’Unione Europea ha avviato, contro la pirateria, la Missione EUNAVFOR Atalanta a sostegno delle Risoluzioni ONU 1814, 1816, 1838 e 1846. Queste disposizioni, adottate nel 2008 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sono applicate su un’area compresa tra il Golfo di Aden, l’Oceano indiano e le Isole Seychelles e autorizzano, nel rispetto delle norme di diritto internazionale, l’uso della forza da parte degli Stati intervenuti con i propri assetti aeronavali[x]. Alle organizzazioni internazionali si sono uniti alcuni Stati africani, come il Kenya, Gibuti e l’Etiopia. La Missione europea Euscap Nestor fornisce a Gibuti, Somalia, Tanzania, Kenya e Seychelles, le capacità necessarie alla formazione di unità di polizia costiera e della magistratura al fine di intensificare i controlli e salvaguardare le popolazioni coinvolte, che sopravvivono di attività legate al mare[xi]. Il quadro giuridico si basa sulla Convenzione di Ginevra del 1958 e la Convenzione di Montego Bay del 1982, che consentono agli Stati firmatari di fermare e catturare pirati con navi da guerra o a servizio dello Stato[xii]. Altri strumenti a difesa della navigazione sono l’imbarco di Security-team e l’impiego di Vessel Protection Detachments (VPD). Le società di sicurezza, che garantiscono protezione alle merci e all’equipaggio, inizialmente, non hanno conquistato il favore dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) che, alla luce dell’estensione del fenomeno e delle sue conseguenze, ha dettato un’adeguata legislazione interna agli Stati di bandiera, perché assicuri professionalità e sicurezza degli operatori[xiii]. Il ricorso all’assunzione privata di personale militare nazionale è invece più complesso. Il VPD, infatti, pone seri dubbi giuridici e politici, che potrebbero essere superati solo colmando le lacune legislative interne e internazionali. Il personale è reclutato tra le forze del contingente di uno Stato, che partecipa alla Missione Atalanta, e sale a bordo delle navi mercantili equipaggiato e armato, correndo il rischio elevato e quanto mai attuale di rimanere invischiato in incidenti diplomatici[xiv]. La pirateria somala è un problema endemico, le cui soluzioni richiedono tempi lunghi e, soprattutto, strumenti sempre più efficaci, come intensificare la cooperazione regionale e internazionale[xv] o colmare i vuoti della giurisdizione penale. Alcuni ordinamenti interni mancano dell’esercizio della giurisdizione universale per gli atti di pirateria che, nel rispetto del principio di legalità, impedisce ai giudici di perseguire questo reato. Ecco l’importanza di dare seguito alla Risoluzione 2015 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che sostiene l’importanza di istituire Corti speciali in Somalia e di creare un Tribunale extraterritoriale somalo, che consentirebbe ai giudici di avviare un processo a carico dei pirati[xvi]. Oltre che sul piano legale, si ritiene indispensabile intensificare gli interventi che consentano di superare tutte quelle criticità che hanno consolidato il potere della pirateria. La povertà, la miseria, l’emarginazione e il disagio sociale degli abitanti somali sono fattori che aumentano il reclutamento nell’esercito dei pirati e che possono essere azzerati orientando processi economici, politici e sociali verso un sempre più attivo coinvolgimento della popolazione locale[xvii].
Federica Fanuli
[i] Cfr. J. L. Anderson, Piracy and World History: An Economic Perspective on Maritime Predation, University of Hawaii Press, Journal of World History, Vol. 6, 2010, pp. 176-190.
[ii] Cfr. P. LENNOX, Contemporary Piracy off the Horn of Africa, University of Calgary, 2008, pp. 5-6.
[iii] Cfr. http://temi.repubblica.it/limes/come-e-cambiata-la-pirateria-somala-dagli-anni-novanta-a-oggi/26356.
[iv] Cfr. http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/PI0069App.pdf.
[v] Cfr. http://www.cesi-italia.org/geoeconomia/itemlist/tag/pirateria.html.
[vi] Cfr. http://www-wds.worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB/2013/10/18/000333037_20131018115852/Rendered/PDF/812320PUB0Pira00Box379838B00PUBLIC0.pdf
[vii] Cfr. http://www.lloyds.com/~/media/files/the market/tools and resources/agency/shanghai presentations/session 2 presentation 4.pdf.
[viii] Cfr. http://www-wds.worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB/2013/10/18/000333037_20131018115852/Rendered/PDF/812320PUB0Pira00Box379838B00PUBLIC0.pdf
[ix] Ibid.
[x] Cfr. in L. PUDDU, F. DE GASPERIS, La pirateria in Somalia tra politica e diritto internazionale, Studi in onore di Augusto Sinagra, 2013, pp. 859- 864.
[xi] Cfr. http://piracy-studies.org/2013/in-search-for-a-mission-the-eus-regional-training-mission-eucap-nestor/.
[xii] Cfr. http://www.gc.noaa.gov/documents/8_1_1958_high_seas.pdf e http://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf.
[xiii] Cfr. L. Ploch, Piracy off the Horn of Africa, Congressional Research Service, 2009, pp. 28-29.
[xiv] Cfr. http://www.lowyinstitute.org/publications/pirates-and-privateers-managing-indian-oceans-private-security-boom e http://www.unric.org/it/images/stories/misure.pdf.
[xv] Cfr. http://www-wds.worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB/2013/10/18/000333037_20131018115852/Rendered/PDF/812320PUB0Pira00Box379838B00PUBLIC0.pdf.
[xvi] Cfr. in L. PUDDU, F. DE GASPERIS, La pirateria in Somalia tra politica e diritto internazionale, cit., pp. 864-865 e
[xvii] Cfr. http://www.somalia-newdeal-conference.eu/.
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