Lost in translation atto II
Sofia Coppola torna, a distanza di 4 anni da Marie Antoinette, con un film molto personale e a tratti autobiografico. Johnny Marco (Stephen Dorff) è un divo di hollywood che conduce una vita dissoluta. Ricco, pieno di donne, di lussi, non riesce comunque a essere felice. Ogni giornata, così monotona, così uguale a tutte le altre, (come un giro in Ferrari in un circuito circolare. Bello, costoso, veloce, ma dopo 4 o 5 giri, subentra la noia) è difficile da superare. Il tempo non passa mai, nonostante qualche piacere. A movimentargli la vita arriva Cleo (Elle Fanning) sua figlia, avuta dalla ex moglie. La vede solo ogni tanto, come ogni padre divorziato, e per via della sua professione d'attore. Cleo riuscirà a portare un pò di gioia e movimento, ma soprattutto speranza, nella sua vita.
Come il Bill Murray in trasferta giapponese, Johnny ha bisogno di una presenza infantile e femminile per essere salvato, prima di tutto dalla noia mortale e poi da una vita che sta andando verso il lato sbagliato. Cleo-Charlotte (Scarlett Johanson) sono delel figure che fungono da guida per Johnny-Bob, come delle novelle Beatrici. ma se Charlotte ha un ruolo minore, diciamo fuoriporta, che dura quanto il viaggio in Giappone, Cleo ha un ruolo fondamentale nel futuro di suo padre. Inoltre le due figure femminile sono entrambe casi di abbandono. Charlotte dal fidanzato regista, Cloe dalla mamma in crisi di identità.
C'è molto di Sofia in questo film, lei figlia di Francis e in una famiglia dove il cinema è stato vissuto sulla pelle quasi da tutti (anche il fratelo Roman produce la pellicola). Conosce la vita dei figli d'artista, tra camere d'albergo e continui spostamenti. Finisce che conosci tante persone, ma per brevi periodi. Ogni film è una nuova famiglia. Dopo un pò sembra di perdere la bussola. Di non provare più veri sentimenti. E' un totale smarrimento.
C'è molto di sè, ma non è tutto suo, dato che si è ispirata più che altro alle memorie di una sua amica.
Somewhere è un film che definire a ampio respiro è dire un eufemismo. Basti vedere la prima sequenza con quella Ferrari che gira per un minuto buono senza che succeda nulla. Il pubblico rumoreggia. Quello becero. Il ritmo è assente e viene creato dall'arrvio di Cleo. Prima, si potrebbe parlare di un film neorealista. Ogni azione, anche la più insignificante è ripresa per intero. Sofia non aggiunge niente, non dà consigli agli attori. E' tutta improvvisazione, semplice ripresa della realtà. Immagino che non ci fosse neanche una sceneggiatura. Gli attori semplicemente dicono e fanno quello che farebbero in situazioni simili (emblematica la scena in piscina).
Quelle lunghe estenuanti e vacue riprese di Johnny da solo in casa o Johnny che dorme, o Johnny che si rade, sono invece piene di angoscia e depressione. Si vorrebbe fuggire, togliere dalla vista quella solitudine, autoinflitta si potrebbe dire. Ma non si può. Si deve vedere fino in fondo, inermi. Come osservare una persona malata, sola, o anziana (o tutte e tre) al parco.
Non è il capolavoro della Coppola ma è un bellissimo film, senza imperfezioni, che non si vorrebbe mai che finisse (quando sono in piscina e la mdp si allontana non avrei sopportato un Fine). Potrebbe andare avanti per ore e non ne sentirei il peso. Semplice ma impeccabile.
Molto bravo Dorff, che forse conosce bene cosa ha recitato, e Elle Fanning dimostra di essere in una famiglia ben votata al cinema, come i Coppola. Peccato che il doppiaggio italiano, comunque buono, tolga voce e risata al leggendario Chris Pontius.
La hollywood anni 2010 è molto simile a quella anni 40-50 desolante e a alto tasso alcolico. Almeno ora ci sono le spogliarelliste (fonte di esaltazione per qualche spettatore assonnato).
Dulcis in fundo, da segnalare la pessima figura della tv italiana. Ma a quello siamo abituati.
Voto: un provocatorio, ma neanche tanto 9.5