Questi sono i presupposti di "Siamo quel che siamo", una pellicola che affronta con una certa dose di originalità l'argomento del cannibalismo rituale. Peccato che il risultato complessivo sia una mezza delusione, e non in senso figurato, ma per davvero: una metà è molto buona, l'altra naviga nella mediocrità più bieca. Infatti il problema più grosso di questa produzione messicana di buona fattura è che si avvicina molto di più al genere dramma famigliare che all'horror. Non che la cosa sia un male assoluto, certo, ma se la parte drammatica è davvero ben fatta, quella horror fa acqua da ogni dove. Mi domando quale sia stato il senso di mischiare con così tanta leggerezza due generi che vanno d'amore e d'accordo se combinati con un certo impegno. Se dalla pellicola togliamo le poche parti sanguinolente e macabre, rimane una specie di zuppa adatta ad altri palati, ma non al mio. Se da un lato il rapporto tra i fratelli e la madre viene splendidamente rappresentato, dall'altro abbiamo una tal confusione di inutili innesti violenti da lasciare la mascella indolenzita dai troppi sbadigli. Omosessualità recondita, incesto, rapporto genitori\figli, prostituzione, polizia corrotta e riti occulti stridono in maniera così tremenda tra di loro che ogni tanto ci si sveglia per tapparsi le orecchie. La malattia più grave del film rimane comunque la sceneggiatura della sezione horror che contiene una tal quantità di buchi da far dimenticare velocemente che dovrebbe essere la colonna portante di tutto il film. Infatti alla fine ci si chiede cosa centri in tutto il contesto il famoso "rito" che viene continuamente urlato da madre e figli per tutta la vicenda e poi ci si deve accontentare di un telo di nylon che nasconde il novanta per cento della malefatta. Due note positive in questo strano capitolo del cinema messicano: prima, la velata polemica verso la polizia che nelle occasioni in cui viene introdotta nello script, appare goffa, inutile, scorretta, corrotta e ladra (molto divertente la scena macchiettistica dell'obitorio e illuminante il passaggio del furto di orologi); seconda, il cast che è davvero notevole, sia per recitazione che per presenza scenica. Da notare l'ottima prova del giovane e sconosciuto Francisco Barreiro, alias Alfredo. La buona regia dell'esordiente Jorge Michel Grau non soffre più di tanto della mediocre sceneggiatura che però è comunque di sua mano, quindi meglio che si dedichi più intensamente alla prima delle due operazioni cinematografiche e speriamo di vedere, un domani, qualcosa di più lineare e sensato. La fotografia è ottima con un buon uso dei colori freddi in un Messico per nulla stereotipato, ma ogni tanto pecca di troppa oscurità che rende alcune scene molto complicate da interpretate. La visione rimane comunque consigliata perché non mancano le trovate macabre e originali e, se si tappano gli occhi durante queste scene, anche gli amanti del dramma all'italiana avranno di che lustrarsi "el ojos". Peccato, perché avrebbe potuto lasciare un'impronta ben piazzata nel moderno perturbante e invece, Somos lo que hay si è perso nella voglia di stupire senza finire il compitino.
Questi sono i presupposti di "Siamo quel che siamo", una pellicola che affronta con una certa dose di originalità l'argomento del cannibalismo rituale. Peccato che il risultato complessivo sia una mezza delusione, e non in senso figurato, ma per davvero: una metà è molto buona, l'altra naviga nella mediocrità più bieca. Infatti il problema più grosso di questa produzione messicana di buona fattura è che si avvicina molto di più al genere dramma famigliare che all'horror. Non che la cosa sia un male assoluto, certo, ma se la parte drammatica è davvero ben fatta, quella horror fa acqua da ogni dove. Mi domando quale sia stato il senso di mischiare con così tanta leggerezza due generi che vanno d'amore e d'accordo se combinati con un certo impegno. Se dalla pellicola togliamo le poche parti sanguinolente e macabre, rimane una specie di zuppa adatta ad altri palati, ma non al mio. Se da un lato il rapporto tra i fratelli e la madre viene splendidamente rappresentato, dall'altro abbiamo una tal confusione di inutili innesti violenti da lasciare la mascella indolenzita dai troppi sbadigli. Omosessualità recondita, incesto, rapporto genitori\figli, prostituzione, polizia corrotta e riti occulti stridono in maniera così tremenda tra di loro che ogni tanto ci si sveglia per tapparsi le orecchie. La malattia più grave del film rimane comunque la sceneggiatura della sezione horror che contiene una tal quantità di buchi da far dimenticare velocemente che dovrebbe essere la colonna portante di tutto il film. Infatti alla fine ci si chiede cosa centri in tutto il contesto il famoso "rito" che viene continuamente urlato da madre e figli per tutta la vicenda e poi ci si deve accontentare di un telo di nylon che nasconde il novanta per cento della malefatta. Due note positive in questo strano capitolo del cinema messicano: prima, la velata polemica verso la polizia che nelle occasioni in cui viene introdotta nello script, appare goffa, inutile, scorretta, corrotta e ladra (molto divertente la scena macchiettistica dell'obitorio e illuminante il passaggio del furto di orologi); seconda, il cast che è davvero notevole, sia per recitazione che per presenza scenica. Da notare l'ottima prova del giovane e sconosciuto Francisco Barreiro, alias Alfredo. La buona regia dell'esordiente Jorge Michel Grau non soffre più di tanto della mediocre sceneggiatura che però è comunque di sua mano, quindi meglio che si dedichi più intensamente alla prima delle due operazioni cinematografiche e speriamo di vedere, un domani, qualcosa di più lineare e sensato. La fotografia è ottima con un buon uso dei colori freddi in un Messico per nulla stereotipato, ma ogni tanto pecca di troppa oscurità che rende alcune scene molto complicate da interpretate. La visione rimane comunque consigliata perché non mancano le trovate macabre e originali e, se si tappano gli occhi durante queste scene, anche gli amanti del dramma all'italiana avranno di che lustrarsi "el ojos". Peccato, perché avrebbe potuto lasciare un'impronta ben piazzata nel moderno perturbante e invece, Somos lo que hay si è perso nella voglia di stupire senza finire il compitino.
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