di Paola Abeni
Cinque maggio
Forse il vento, come anima della sera; il mio cercare nell’erba il suono delle
parole. Maggio come l’adagio dei papaveri nel buio degli occhi, un frusciante
colloquio con il cielo. Sono all’altezza del mio sguardo sopito.
Lontani cori di mani dove ora sorridono i fiori.
Così dentro il fianco dei colli sono le orme del nostro vagare.
Rimango seduta sopra un pezzo infinito di terra. Sono sola con il rumore che fa la bellezza.
Di tutto questo amore trafitto dai mattini rimane sui corpi un segno incompiuto.
Un fuoco tenero stempera cantilene di sogni.
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