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Sono esposti sull'isola di Mozia (Trapani) i rostri della battaglia delle Egadi, a 2.253 anni dal loro affondamento.

Creato il 20 gennaio 2013 da Robertoerre

 

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Mozia, Museo Whitaker: rostri

 

// Anna Vittorio

Sono esposti sull'isola di Mozia (Trapani) i rostri della battaglia delle Egadi, a 2.253 anni dal loro affondamento. Si possono ammirare nel museo in origine una villa costruita da Giuseppe Whitaker ai primi ‘900, e ora gestita dalla sede palermitana della Fondazione Whitaker, villa Malfitano, splendida residenza di famiglia in stile eclettico che tra i suoi ospiti ha avuto i reali britannici e lo zar di Russia.

Il più famoso abitante dell’isola, il “Giovane” marmoreo dalla veste plissettata, sull’isola non c’è. Come “Auriga” è stato ospite delle Olimpiadi di Atene nel 2004 e di Londra nel 2012; quest’anno, non senza discussioni tra chi pensa che a spostarsi in cerca di arte e bellezza debbano essere le persone e chi pensa che se a viaggiare sono le opere d’arte, di cui siamo tanto ricchi, poi arriveranno anche le persone, alla chiusura delle Olimpiadi è volato negli Stati Uniti, dove è stato accolto come guest star a Malibu dalla Getty Foundation.

La storia dei rostri è quasi un romanzo giallo. Il primo viene sequestrato a un privato dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico nel 2004. Le indagini circoscrivono il braccio di mare dove la nave da guerra, di cui il rostro era stato arma micidiale, poteva essere affondata il 10 marzo del 241 a.C., nel corso della battaglia delle Egadi tra Romani e Cartaginesi. A Nord-Ovest di Levanzo, si avvia un complesso progetto organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Dipartimento dei Beni Culturali, e coordinato dal Sovrintendente del Mare, Sebastiano Tusa con la collaborazione di RPM Nautical Foundation, fondazione americana diretta da Jeff Royal, che mette a disposizione la nave oceanografica Hercules e le tecnologie necessarie per indagare fondali a oltre 80 metri di profondità. Concentrati in un’area precisa i rostri identificano il punto dove le due flotte avversarie si affrontarono nella battaglia decisiva della Prima guerra punica. In mare non ci sono solo rostri, ma centinaia di anfore, piccolo vasellame di uso comune a bordo, alcune ancore e diversi elmi di tipo Montefortino. A questa tipologia appartiene l’elmo esposto: bronzeo, a cupola, con breve proteggi-nuca posteriore e bottone apicale, sul quale venivano infisse piume o un pennacchio di crine di cavallo per distinguere i guerrieri e farli sembrare al nemico più alti e terrifici. Di provenienza celtica l’elmo prende il nome da una necropoli vicino ad Ancona, ed è utilizzato dai legionari fino al I sec. a.C.; faceva dunque parte dell’equipaggiamento difensivo dell’esercito romano durante la battaglia.

 

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I tre rostri sembrano identici nella tipologia: un unico blocco di fusione bronzea, che nelle navi da guerra era incuneato e fissato lì dove si congiungono la parte finale prodiera della chiglia e la parte bassa del dritto di prua, sopra il tagliamare. La parte anteriore del rostro é costituita da tre fendenti laminari orizzontali e da un potente cuneo centrale, con il quale il fasciame ligneo della nave avversaria veniva profondamente squarciato sotto la linea di galleggiamento. La manovra di assalto doveva essere veloce, i rematori e il capitano molto abili e coordinati sia nella fase di aggancio che in quella successiva, in cui la nave attaccante doveva indietreggiare e allontanarsi rapidamente da quella avversaria per non essere coinvolta nel suo affondamento. I rostri sono uno dei mezzi di attacco più potenti della marineria antica, inventati secondo Plinio il Vecchio dall’etrusco Piseo, figlio di Tirreno. Una narrazione mitologica, alla quale non solo si affiancano nelle fonti antiche narrazioni di battaglie in cui il loro uso fu determinante e ricostruzioni della colonna rostrata posta nel Foro romano, decorata con i rostri delle navi cartaginesi catturate da Caio Duilio, trionfatore della battaglia navale di Milazzo del 260 a.C., ma anche le raffigurazioni monetarie. Nell’ambito del ruolo svolto dalla moneta come veicolo di propaganda politica a connotazione fortemente simbolica ed a diffusione di massa, la frequente raffigurazione nella monetazione romano-repubblicana di prue di nave armate di rostri non può, infatti, considerarsi casuale. Molte solo le serie bronzee che, dal III al I sec. a.C., pur nell’esiguità del campo, mostrano dettagli tecnici assolutamente coerenti con il modello a tre lame orizzontali esposto a Mozia

 

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Mozia, Museo Whitaker: elmo di tipo Montefortino

 

L’analisi della lega metallica è stata effettuata per alcuni rostri, e ogni campione ha mostrato percentuali diverse di componenti della lega, cioè stagno rame, piombo e arsenico, più tanti altri minori”, spiega Sebastiano Tusa. “Inoltre sembrano uguali, ma sono tutti leggermente diversi, tranne due che non sono esposti a Mozia e che sono quasi identici, con la medesima iscrizione latina che menziona i medesimi questori”.

 

Il primo rostro è stato recuperato nell’estate del 2012. Sulla cuspide della fascia che ricopre la ruota di prua porta un elmo di tipo Montefortino, di forma conica, con paragnatidi, apex, e tre piume disposte a ventaglio. L’elmo, realizzato a rilievo all’atto della fusione, riproduce la tipologia in uso testimoniata dai rinvenimenti archeologici riferibili alla battaglia, e sormonta l’iscrizione L. QVINCTIO QVAISTOR PROBAVET, anch’essa realizzata all’atto della fusione ma in negativo.

Il secondo rostro è stato recuperato nella campagna del 2011. Armoniosa la Nike-Vittoria alata dal panneggio svolazzante, con corona e palma, realizzata anch’essa a rilievo all’atto della fusione e sormontante l’iscrizione in rilievo C(aio) PAPERIO Ti(berii) F(ilio) M(arco) POPULICIO L(ucii) F(ilio), Q.P.. Il testo, in analogia con quello precedente, indicherebbe il nome e la carica questorile dei due magistrati addetti al controllo ed alla realizzazione delle fusioni.

 

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Ricostruzione di nave da guerra armata di rostro.

Per gentile concessione della Sovrintendenza del Mare

Il terzo rostro non ha decorazioni, ma un’iscrizione graffita in alfabeto punico: l’invocazione al dio Baal, affinché lo faccia penetrare in profondità nella nave nemica, è testimonianza dell’uso dell’invettiva che, attraversando i secoli, dalle ghiande missili greche alle bombe americane che irridevano Saddam, sembra essere elemento costante della psicologia del combattimento. Nonostante la poca visibilità dell’iscrizione dal ductus irregolare, e la mancanza di qualsiasi elemento decorativo, questo rostro sembra il più interessante. Il prototipo è tecnicamente identico ma l’iscrizione ne proverebbe l’uso indifferenziato da parte di entrambi gli schieramenti navali. D’altra parte, non essendo un popolo marinaro, proprio nel corso di questa guerra i Romani dovettero più volte adeguare la propria flotta a quella del più esperto nemico cartaginese, con sforzo non solo economico ma di vero e proprio spionaggio tecnologico.

 

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( cfr Michael H. Crawford, Roman Republican Coinage, London-Cambridge, 1974)

Altri rostri restituiti dal mare delle Egadi presentano decorazioni e iscrizioni, che sono in corso di studio, mentre il rostro proveniente dal sequestro del 2004 era lateralmente decorato da due coppie di rosette. Evidenti appaiono alcune deformazioni strutturali, a riprova dell’avvenuto micidiale utilizzo.

Oltre all’imponente nucleo siciliano (dieci rostri, tra i quali quello sequestrato nel 2004 dai Carabinieri, quello rinvenuto nel 2011 da un peschereccio nel corso di una battuta di pesca a strascico e i due identificati sul fondale ma ancora da recuperare), meritano di essere ricordati il rostro di bronzo a testa di cinghiale esposto all’Armeria Reale di Torino, pescato al largo del porto di Genova nel 1597 e portato a Torino dopo l’occupazione sabauda del 1815 (forse riconducibile alle operazioni navali condotte durante la Seconda guerra punica dal generale cartaginese Magone in Liguria, dove nel 203 a.C. fu sconfitto dai Romani e da dove salpò per tornare in patria morendo durante la traversata), e il rostro esposto in Israele al Museo navale di Haifa. Quest’ultimo, datato al II sec. a.C., superando i due metri di lunghezza ha dimensioni maggiori rispetto a quelli siciliani. Non presenta iscrizioni ma diversi simboli posti simmetricamente su ciascun lato: una testa d’aquila, un elmetto, una stella a otto punte. E’ stato ripescato nel 1980 nelle acque di Athlit, senza che sia stata trovata traccia alcuna di un relitto ad esso connesso; questo ha fatto ritenere che potesse essere dotato di un qualche meccanismo di sganciamento, un “rostro a perdere” insomma, una caratteristica che potrebbero aver avuto anche i rostri delle Egadi per agevolare operazioni di allontanamento dalla nave avversaria arpionata, o per alleggerire l’assetto della nave in particolari condizioni di navigazione.

Sul significato dei simboli e delle iscrizioni va rilevato che nella posizione in cui si trovavano non erano facilmente visibili; con molta probabilità, dunque, sono da ricondurre alla regolare esecuzione e alla tracciabilità dei rostri, forse anche alla loro datazione e serie di produzione. L’analogia con la coniazione monetaria, ove simboli, sigle e iscrizioni in età repubblicana si riferiscono a magistrati monetari che garantiscono peso, lega e produzione, mentre in epoca imperiale indicano zecche emittenti e serie monetali, potrebbe non essere casuale. In fondo in un’economia come quella romana-repubblicana, basata su una moneta a valore reale coniata nello stesso metallo dei rostri, i rostri stessi dovevano significare un consistente valore reale, dato sia dal loro ragguardevole peso in metallo sia dagli elementi fissi che costituivano la lega ritenuta più idonea per la loro funzione. E come per la moneta, ed a maggior ragione in considerazione della necessità di una regolare esecuzione tecnica, la loro produzione doveva in qualche modo essere visibilmente “ufficialmente certificata”.

 

La mostra al Museo Whitaker resterà aperta fino al 20 febbraio 2013, con orario 9-15. L’isola di Mozia è sempre aperta, anche nei giorni festivi; eventuali giorni di chiusura dipendono esclusivamente dalle condizioni del tempo e del mare.

Informazioni: [email protected]; tel. e fax 0923 712598 


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