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“Sono giunto in Via Caetani alle 13,20. Gli artificieri sono arrivati dopo”

Creato il 30 giugno 2013 da Nazionalpopolare70 @nazionalpop70

slide_305887_2635892_free“Me lo ricordo perfettamente quel 9 maggio del 1978. Quando mi dissero di andare in via Caetani erano le 13,20. La voce via radio era del colonnello Gerardo Di Donno, che comandava la sala operativa. Io ero in piazza Ippolito Nievo. Non sapevo dove fosse via Caetani. Ci pensò il mio autista, Di Francesco. Quando arrivammo, non c’era nessuno. Vidi la Renault rossa parcheggiata e bloccai la strada chiedendo a Di Donno due auto di rinforzo che piazzai all’angolo con via delle Botteghe Oscure e in fondo, verso via dei Funari. La Renault era chiusa. Da fuori non si vedeva niente. Per me poteva anche esserci una bomba, quindi dissi agli artificieri di aprire prima di tutto il cofano. Poi tirai fuori dalla mia auto un piede di porco. Lo so che non avrei dovuto avere quell’arnese ma a via Gradoli, quando scoppiò quel casino del covo delle Brigate Rosse su cui ci attaccarono da tutte le parti, ci avevo aperto tutte le porte chiuse. E ci aprii anche il portabagagli della Renault…”.

Il generale Antonio Cornacchia ha un’età, 81 anni. E un passato di successi e di guai, dall’arresto di Renato Vallanzasca alla tessera numero 871 della P2 di Licio Gelli. Nel 1978 comandava il Nucleo investigativo dei carabinieri. Secondo i due artificieri che oggi sostengono di essere giunti in via Caetani un’ora prima della telefonata con cui il brigatista Valerio Morucci comunicava al professor Francesco Tritto l’avvenuta esecuzione di Aldo Moro e il luogo in cui la famiglia avrebbe trovato il suo corpo, Cornacchia arrivò con Francesco Cossiga e col capo dell’ufficio politico Domenico Spinella. “Ma lasciamo stare queste storie…”, sbuffa Cornacchia. Che però aggiunge: “Se quelli erano già stati lì prima di me, non lo so. Ma quando sono arrivato io, la Renault era chiusa e non c’era ancora nessuno. Su questo non ci piove”.

- Siamo al piede di porco…
“Eh, già. A un certo punto presi il coraggio a due mani e decisi di aprire quel portabagagli col piede di porco. Altro che artificieri, il cadavere di Moro lo vidi per primo io. Era raggomitolato. Sul pianale vidi anche cinque teste di proiettile che gli avevano trapassato il corpo fermandosi sulla lamiera”.

- C’erano tracce di sangue?
“Per quello che vidi, no. Poi seppi che era morto per una emorragia interna. E contrariamente a quello che hanno raccontato i brigatisti, non fu Gallinari ad ucciderlo con la mitraglietta Skorpion. Fu Moretti. Sparò il primo colpo con una Walter PPK, poi la pistola si inceppò e la mano gli cominciò a tremare. Allora Maccari prese la Skorpion e sparò una raffica di dieci colpi. Ma Moro era già nel portabagagli, perché sul pianale sono rimaste le impronte delle ogive”.

- E gli artificieri?
“Si occuparono del cofano anteriore. Intanto era arrivata un sacco di gente. Giornalisti, ma non solo. Vennero anche Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai, me li ricordo. Ma a quel punto io andai ad interrogare quelli che stavano in via Caetani”.

- Cosa venne fuori dalle testimonianze?
“C’era una signora bionda, di mezza età, che lavorava alla biblioteca di Stato. Mi disse che era uscita alle otto e dieci di mattina per andare a prendere un caffè e aveva notato la Renault rossa, perché di solito in quel posto parcheggiava un suo collega”.

- Quindi la Renault alle otto di mattina era già in via Caetani.
“Esatto”.

- Ma non potrebbe giurare che gli artificieri fossero già stati lì due ora prima del suo arrivo.
“Io dico quello che so e che ricordo. Ho avuto la segnalazione via radio alle 13,20, sono arrivato verso l’una e mezza e il portabagagli della Renault l’ho aperto io, col mio piede di porco. Io e il mio autista sono stati i primi, gli artificieri sono arrivati dopo”.

FONTE

Ovviamente non esiste nessuna “biblioteca di Stato”. A via Caetani, con ingresso a pochi metri dalla Renault rossa, c’era la Discoteca di Stato. E c’è ancora, con altro nome.



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